“Risarcito il danno da vaccino”, “il tribunale riconosce il nesso tra vaccino e autismo”. Ogni tanto capita di leggere titoli simili. Queste sentenze vanno apparentemente contro la posizione della comunità scientifica, secondo la quale non esiste, per esempio, un nesso tra vaccino e autismo. Perché allora i tribunali si pronunciano in questa maniera? Scopriamolo insieme.
Quando il tribunale riconosce i danni da vaccino
Parlare di “danni da vaccino” crea una grande confusione dal momento che possono riferirsi a svariate situazioni. In alcuni casi, possono sopraggiungere effetti collaterali che vengono esacerbati da condizioni patologiche preesistenti, in altri il danno è dovuto alla malasanità, oppure ad eventi imprevedibili. Questo non deve stupire, dal momento che qualsiasi sostanza assunta (farmaci, cibo) può causare effetti collaterali, anche gravi. Nel caso delle vaccinazioni, la probabilità che si presentino è bassissima, rendendole la soluzione migliore per la comunità. Nelle prossime righe, presenterò alcuni casi emblematici arrivati in tribunale, così da mostrare le varie sfaccettature che i danni da vaccino possono assumere nella vita reale, e come vengono trattati dai tribunali.
Nel 2012, la corte d’Appello di Torino ha riconosciuto il risarcimento di 1,8 miliardi di lire ad una paziente che, in seguito alla somministrazione di un vaccino obbligatorio nel 1988, finì in coma vegetativo. In questo caso, è stata verificata “la sussistenza di un nesso causale tra la vaccinazione, eseguita senza previa valutazione delle possibili conseguenze dell’intervento di tonsillectomia, e il manifestarsi della patologia”. Inoltre la bambina avrebbe potuto evitare danni cerebrali permanenti se le fosse stato somministrato del cortisone entro cinque giorni dall’insorgenza delle complicazioni. Invece i medici, per oltre un mese, minimizzarono la gravità della situazione, fino a quando i danni divennero irreparabili. In questo caso, quindi, il danno non fu dovuto esclusivamente al vaccino, ma anche alla condizione medica della paziente e alla pessima gestione del caso da parte dei medici.
Quando il tribunale NON riconosce i danni da vaccino
Una situazione ben diversa è rappresentata dai danni imprevedibili: durante un’iniezione intramuscolare del vaccino antitifico, fu leso un nervo in modo irreparabile, ma la Cassazione nel 2015 ha stabilito che la dottoressa si è attenuta ai protocolli, quindi il danno non era risarcibile.
Arriviamo all’autismo. Nel 2012, l’ASL fu costretta a risarcire un paziente dopo che gli fu diagnosticato l’autismo a seguito della vaccinazione MPR (morbillo-parotite-rosolia). La Corte d’Appello di Bologna riformò poi la sentenza nel 2015, in quanto “nella storia clinica del bambino non c’è un’oggettiva correlazione temporale tra la progressiva comparsa dei disturbi della sfera autistica e il vaccino MPR, vi è solo il fatto che i due eventi avvengano uno prima e uno dopo, ma come dimostrato, ciò non è sufficiente a mettere in relazione i due eventi”. Svariate altre sentenze, sfruttando una cospicua documentazione scientifica, hanno negato rimborsi rifiutando il fatto che le patologie autistiche potessero essere causate dai vaccini. Come vedete, quindi, nessuna discrepanza con la comunità scientifica. È innegabile che l’esistenza di medici antivaccinisti influenzi alcune (poche) sentenze. Infatti, ogni procedimento giudiziario richiede la consulenza di un CTU, ovvero un consulente tecnico d’ufficio (che, nel caso in cui venga coinvolta la salute di una persona, è un medico). Questo è reso necessario dal fatto che nessun giudice è competente in qualsiasi materia si trovi a giudicare. Per questo si avvale dell’opinione di esperti del settore e spesso la sua decisione finale dipende esclusivamente da quanto affermato dal CTU. Mentre nella maggior parte dei casi non viene riconosciuto un indennizzo a chi accusava un vaccino di aver provocato sindromi autistiche, in rari casi succede che il CTU si esprima a favore del rimborso. Questo perché anche un medico con evidenti conflitti d’interesse (per esempio dichiaratamente antivaccinista) potrebbe essere interpellato. Solitamente i CTU vengono reclutati a rotazione, ma la disponibilità dipende da quanti medici sono iscritti all’albo in un determinato tribunale con la specializzazione in vaccini: è probabile che nelle città più piccole siano pochi e quindi i medici antivaccinisti vengano interpellati più frequentemente.
Un problema serio è rappresentato da come i mass media presentano la notizia, come l’avvocato Chiara Gallese spiega nel suo articolo “Le sentenze antiscientifiche: un mito creato dai media”: i casi nei quali viene confermato un nesso tra vaccino e autismo sono rarissimi, rispetto al numero di rifiuti, e spesso queste sentenze vengono poi ribaltate in appello. Tuttavia, la stampa dà un risalto esagerato ai pochi casi nei quali viene concesso un indennizzo, fornendo una visione totalmente distorta della realtà. Io stesso, prima di documentarmi approfonditamente per scrivere questo articolo, ero convinto che i casi fossero molti di più e che esistesse un forte contrasto tra l’opinione della comunità scientifica e le sentenze dei tribunali. È stata una piacevole sorpresa scoprire che non è così.
Magari ora vi starete chiedendo: quindi viene riconosciuto un nesso tra vaccini e autismo solamente quando il CTU è un antivaccinista? Non solo. Tornando al problema della ridotta disponibilità di CTU esperti in vaccini, a volte il medico disponibile non è del settore. Vi presento una sentenza del 2014 emessa dal Tribunale del Lavoro di Milano. Secondo il giudice sarebbe “acclarata la sussistenza del nesso causale tra tale vaccinazione e la malattia”, riferendosi all’autismo sviluppato da un bambino dopo essere stato vaccinato con l’esavalente della GlaxoSmithKline nel 2006. Vediamo la motivazione della sentenza. Il CTU interpellato (un medico legale, quindi non esperto di vaccini) ha stabilito che il vaccino è “l’unica causa conosciuta della malattia” (andando peraltro contro ogni conoscenza scientifica odierna, dal momento che sono ben note le cause genetiche dell’autismo). Le sue motivazioni sono due: 1) l’ammissione da parte della ditta farmaceutica stessa che il vaccino potrebbe essere causa di autismo e 2) la presenza nel vaccino di un “disinfettante a base di mercurio, comprovato come neurotossico”. Vorrei partire dal secondo punto. Il disinfettante in questione è un derivato del Thimerosal. Nel ho già parlato abbondantemente qui. Questo disinfettante rilascia l’etilmercurio, che è ben diverso dal tossico metilmercurio, nonostante la similarità dei nomi. Il primo viene metabolizzato senza problemi dall’organismo, mentre solo il secondo è pericoloso e può seriamente compromettere la salute. Metterli sullo stesso livello sarebbe come paragonare l’acqua all’acqua ossigenata. Il Thimerosal veniva utilizzato per conservare vaccini nelle fiale multidose. Svariati studi hanno dimostrato l’inesistenza di un nesso tra la presenza di Thimerosal nei vaccini e lo sviluppo dell’autismo. Nonostante ciò, a causa della paura della gente, il Thimerosal è stato eliminato a partire dal 2000 e i vaccini prodotti esclusivamente in fiale monodose. La sola conseguenza è stata percepita dai Paesi più poveri che non hanno potuto permettersi la stessa quantità di vaccini, essendo le fiale monodose più costose. Quindi il CTU ha sbagliato due volte per quanto riguarda il disinfettante: il Thimerosal non è tossico e per giunta non era presente nel vaccino somministrato nel 2006. Ora veniamo alla presunta “ammissione” della ditta farmaceutica. Il CTU fa riferimento ad un documento di farmacovigilanza (di oltre 1200 pagine, potete trovarlo qui) che le ditte farmaceutiche devono inviare alle autorità di controllo dei farmaci. In questo documento devono essere riportati tutti gli eventi avversi avvenuti dopo l’assunzione di un farmaco. Il documento in questione riporta che 6 persone alle quali era stato somministrato il vaccino incriminato, tra ottobre 2000 e ottobre 2010, avevano sviluppato autismo (pagina 1170 del documento). Questo però indica solo una relazione temporale, che però non prova la causalità. Per capirci meglio, tra gli eventi avversi sono riportati anche il morso di un ragno e la sindrome da maltrattamento materno. Se guardiamo il documento di farmacovigilanza del vaccino Tripedia, notiamo che sono riportati addirittura due casi di morte, dovuti ad annegamento e a un incidente stradale. Ora, vogliamo accusare i vaccini anche di questo? I documenti di farmacovigilanza sono solamente una raccolta di segnalazione di eventi avversi, non di conseguenze della vaccinazione. Se ancora non siete convinti, guardiamo i numeri assoluti. Nel mondo, 73 milioni di persone sono state vaccinate con l’esavalente della GlaxoSmithKline tra il 2000 e il 2010. Tra questi 73 milioni, sono stati riportati 6 casi di autismo. Un caso ogni 12 milioni, che automaticamente elimina ogni possibile correlazione tra i due eventi.
Conclusioni
Siamo partiti chiedendoci se esistessero i danni da vaccino. Ora abbiamo capito che la domanda, così posta, non ha molto senso e dovrebbe essere così riformulata: “il rischio di danno da vaccino è sufficientemente basso da rendere la vaccinazione l’opzione migliore per tutelare la salute delle persone?” Allora la risposta è sì. Ogni azione comporta per natura un rischio. La probabilità di morire in un incidente d’auto è una su 90, in un incendio una su 250, a causa di un tornado una su 60.000 e di un fulmine una su 135.000. La probabilità di morire colpiti da un meteorite è di una su 1.600.000, eppure in India è successo il 6 febbraio 2016. Arriviamo ai vaccini. È meno pericoloso vaccinare la popolazione o lasciare che le malattie imperversino liberamente? Quale strategia comporta il rischio minore? Confrontiamo qualche dato focalizzandoci sul vaccino contro la poliomielite, uno dei più criticati. Ne esistono due tipi: quello di Salk (introdotto nel 1953 e assunto tramite iniezione) e quello di Sabin (introdotto nel 1956 e assunto per via orale). Quello di Salk contiene il virus inattivato (morto), il secondo sfrutta una versione attenuata del virus, che però è ancora vivo. Il primo è più sicuro ma offre una minore protezione e pertanto è efficace per mantenere l’immunità di gregge, una volta raggiunta la soglia (è quello che viene usato regolarmente in Italia dal 2002). Quello di Sabin invece, dà una protezione più alta, però è meno sicuro, in quanto il virus si riproduce nel tratto digerente e può occasionalmente (in rarissimi casi) mutare nella versione “normale” del virus, quindi in grado di penetrare nel sistema nervoso centrale e potenzialmente provocare paralisi. A partire dagli anni ’60, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro di Controllo delle Malattie negli USA hanno condotto più di 100 studi nei vari Paesi del mondo. I dati variano leggermente, e vanno da 1 caso di paralisi da polio ogni 3,2 milioni di bambini vaccinati a pochi casi per milione. E se i bambini non venissero vaccinati? Anche in questo caso, le statistiche parlano chiaro: 1 paziente su 200 svilupperebbe una paralisi irreversibile, e il 5-10% dei pazienti morirebbe per paralisi del sistema respiratorio in assenza di ventilazione artificiale (a tal proposito, sapete che le unità di terapia intensiva sono state inventate proprio per combattere un’epidemia di poliomielite?). La matematica dimostra che il rischio di paralisi da polio sarebbe 10.000 volte più elevato in assenza di vaccinazione.
Vi siete mai chiesti quante vite hanno salvato i vaccini? Alcuni ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità le hanno stimate, nel periodo compreso tra il 1900 e il 2015. Le malattie considerate sono difterite, tetano, poliomielite, epatite B, pertosse, morbillo, parotite, rosolia, varicella e malattia meningococcica invasiva. È stato calcolato che ben 4 milioni di vite sono state salvate in Italia grazie ai vaccini contro queste malattie, e che il 35% dei decessi evitati sarebbero avvenuti durante l’infanzia.
Il rischio di danno da vaccino esiste, ma è talmente basso che la vaccinazione rimane la strategia più sicura ed efficace per prevenire la diffusione di malattie potenzialmente mortali. In rarissimi casi, i vaccini possono presentare effetti collaterali gravi, pertanto continueranno ad esistere cause volte ad ottenere risarcimenti per il danno da vaccino, ma bisogna sempre contestualizzare le informazioni che riceviamo dai mass media: fa più rumore un albero che cade di una foresta in silenzio.
Già che ci siamo… perché in alcuni casi il tribunale ha imposto di procedere con la cura Stamina o Di Bella?
I metodi Stamina e Di Bella non hanno alcuna validità scientifica, eppure è capitato che un tribunale abbia imposto di procedere con tali trattamenti. Rispetto ai vaccini, in questo caso la situazione è ben più semplice. Se ad un paziente viene negato un trattamento medico di cui, secondo il medico curante, ha assolutamente bisogno, il paziente si può rivolgere a un giudice chiedendo un provvedimento provvisorio che obblighi l’ospedale ad erogare tale cura. Questo perché, secondo il medico, in caso contrario sussiste un rischio di morte. Poiché il diritto alla salute è fondamentale e protetto dalla Costituzione, mentre quello patrimoniale delle ASL è meno importante al confronto, il giudice rilascia un’ordinanza (uno strumento d’urgenza non definitivo) che tutela la persona senza verificare in un processo se abbia ragione o torto, in quanto il rischio di morte non è equiparabile al danno economico dell’ASL. Questo è successo con alcuni pazienti che si erano visti rifiutare le cure Stamina o Di Bella. Chiaramente, l’opinione del medico curante è fondamentale e solo nel caso vi fosse a suo avviso un rischio di morte si procederebbe a favore dell’ordinanza. Molte ordinanze a favore del metodo Di Bella sono state poi riformate in sede d’impugnazione e i pazienti hanno dovuto rimborsare tutti i costi della cura, proprio per la dimostrata inefficacia del trattamento. Qualcosa di simile è accaduto anche con il metodo Stamina. Alcuni medici avevano adottato tale trattamento all’Ospedale di Brescia, ma l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha ordinato l’interruzione, vista l’assenza di validità scientifica del trattamento. Il ricorso presentato al giudice ha concesso il prosieguo del metodo non come terapia, bensì come “cura compassionevole”, sempre a causa dell’urgenza del caso, e non perché il giudice volesse sfidare la comunità scientifica.
Fonti
Chiara Gallese e Daniela Besozzi. “Le sentenze antiscientifiche: un mito creato dai media” che trovate qui: http://romatrepress.uniroma3.it/wp-content/uploads/2019/05/iusd-alma.pdf
https://pediatrics.aappublications.org/content/112/3/604.long
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0264410X14016892