Perchè il cielo è blu? È una delle domande più comuni poste da bambini e adulti, a meno che non si provenga dall’antica Grecia, dove il blu non lo consideravano proprio. Se pensiamo che questo Paese è conosciuto in tutto il mondo per i suoi tipici tetti blu, le acque cristalline e una bandiera bianca e blu, è logico supporre che abbia una lunga tradizione con questo colore. Invece, niente di più sbagliato. Leggendo Omero, il famoso poeta greco dell’VIII secolo a.C., notiamo che la parola “blu” non viene menzionata una singola volta. Nelle centinaia di pagine de “L’Iliade“, il nero è menzionato 170 volte, il bianco 100, il rosso 13 volte, il giallo e il verde 10 volte ciascuno, mentre il blu non compare mai. Un fatto curioso è che Omero descrive l’oceano, color “vino scuro”. Altre stranezze cromatiche riguardano il “verde miele” e il “viola pecora”.

Inizialmente si pensava che gli antichi Greci vedessero i colori in modo diverso da come li percepiamo oggigiorno, o che fossero tutti daltonici. Tuttavia non è così. Ora sappiamo che la visione dei colori si è sviluppata circa 30 milioni di anni fa, quindi non è possibile che i Greci antichi vedessero i colori in modo diverso. La situazione diventa ancora più curiosa quando vengono considerate anche altre civiltà antiche: quasi nessuna ha mai utilizzato la parola “blu” nei propri testi.

Dai testi islandesi agli antichi poemi epici indiani risalenti a circa 4000 anni fa, dagli antichi scritti cinesi fino all’originale Bibbia ebraica, nessuno menziona il colore blu, mentre tutti menzionano il nero, il bianco e il rosso, e molti, inclusa la Bibbia, anche il verde e il giallo. Ad esempio, in questi testi l’oceano viene descritto come ampio, tempestoso e silenzioso, ma mai blu.

A partire dalla metà del XIX secolo, i linguisti iniziarono ad analizzare la storia delle lingue e scoprirono qualcosa di peculiare: in ogni cultura, il bianco e il nero sono i primi colori a comparire, poi subentra il rosso, poi il giallo e infine il verde. Il blu è sempre l’ultimo colore ad essere introdotto nel linguaggio di ogni cultura. Nel corso degli anni, i ricercatori hanno scoperto alcune piccole eccezioni con l’ordine di apparizione di verde e giallo, che ogni tanto si scambiano di posizione, ma il rosso è sempre il terzo e il blu l’ultimo.

Perché questo ordine? Ci sono due teorie principali.

Una è più semplice e riguarda il processo evolutivo. Il bianco e il nero aiutano a distinguere tra notte e giorno, luce e buio, e sono i più chiari e utili, quindi ogni cultura li assimila per primi. Il rosso è spesso associato al sangue oppure a un pericolo. Inoltre anche i volti umani e la comunicazione sfruttano il colore rosso, per esempio attraverso la risposta galvanica della pelle, come quando si arrossisce o si è stressati. Il verde e il giallo potrebbero essere stati introdotti nel linguaggio in seguito alla necessità di distinguere tra cibi maturi e acerbi. E il blu? Ci sono pochissime cose blu con le quali si interagisce: i frutti blu sono piuttosto rari, e lo stesso vale per gli animali.

In base alla seconda ipotesi, una parola non entra a far parte del linguaggio di un popolo fino a quando le persone non hanno utilizzato l’elemento che questa descrive. Il rosso è il colore più facile e accessibile, perché basta prendere un pezzo di argilla secca e usarlo come un pastello. Pensiamo alle pitture rupestri: la maggior parte dei dipinti contengono il nero e il rosso. Mentre il blu? È uno dei colori più difficili da creare. Per migliaia di anni, nessuno è stato in grado di produrlo, ad eccezione degli antichi Egizi, che infatti avevano una parola per descriverlo.

Quindi significa che gli antichi popoli non erano in grado di “vedere” quei colori prima di avere una parola per descriverli? Non esattamente. I primi uomini avrebbero considerato i colori semplicemente come sfumature di nero, bianco o rosso, che suona un po’ folle, ma in realtà ci sono prove che lo dimostrano.

Se guardate questi 12 cerchi, riuscite subito a individuare quello differente:

Potremmo pensare che sia ovvio per tutti, ma quando viene presentata un’immagine simile a persone appartenenti al popolo Himba della Namibia, che non hanno una parola per indicare specificamente il blu, notiamo che queste impiegano più tempo per osservare la differenza di colore. Al contrario, gli Himba hanno più vocaboli per distinguere il colore verde, e infatti loro impiegano meno tempo di noi a notare il cerchio diverso nell’immagine sottostante:

Per la cronaca, il cerchio differente è quello che nell’immagine precedente era azzurro.

Il motivo è presto spiegato: la suddivisione dei colori per gli Himba è diversa dalla nostra ed ha più termini che descrivono svariate sfumature di verde: buru (azzurro e verde), dambu (verde, rosso e marrone) e zuzu (verde, rosso, viola e blu scuro).

Nel 1890, gli antropologi scoprirono che gli indigeni isolani della Nuova Guinea descrivevano il cielo come nero, o sporco come l’acqua, il che, se ci pensate, non è così sorprendente: il blu scuro (o navy) non è in realtà così lontano dal nero, ed è abbastanza lontano da altre tonalità che chiameremmo ancora blu. In questo senso, i primi esseri umani avrebbero “abusato” del colore nero per indicare tutti i colori scuri. È un po’ come considerare il rosa una sfumatura del rosso. Nella nostra testa sono colori separati perché abbiamo deciso di classificarli in quel modo, e siamo nati e cresciuti con quest’idea. Però, se così non fosse stato, saremmo ugualmente in grado di distinguere i due colori, anche se formalmente considereremmo il rosa una forma di rosso.

Ora, potreste pensare che sia solo un discorso semantico, ma non è così: la neuroscienza ha scoperto che il linguaggio allena il nostro cervello a vedere i colori in modo diverso. Ciò significa che una volta che abbiamo una nuova parola per un colore, si avvia un meccanismo di feedback nel cervello che esagera le differenze con gli altri colori. Senza una parola distinta che lo descriva, invece, siamo comunque in grado di distinguere il colore, ma non lo contestualizziamo allo stesso modo. Quando ci abituiamo a chiamare i colori in modo diverso, il cervello li inquadra come tonalità distinte in maniera più marcata. Per questo il vediamo il rosa separato dal rosso in maniera molto più marcata rispetto a come vediamo il verde pino diverso dal verde ufficio:

Il verde ufficio è quello a sinistra, il verde pino a destra.

Se non siete ancora convinti, immaginate di imparare una nuova lingua. All’inizio, tutto sembra incomprensibile: non riusciamo a distinguere i verbi dai nomi, figuriamoci una parola dall’altra. Con l’avanzare dell’apprendimento, però, il cervello inizia a cogliere queste categorie con maggiore facilità e quindi a riconoscere le piccole differenze più velocemente.

Quindi possiamo concludere dicendo che il nostro cervello ci ha permesso di creare un linguaggio, ma poi il linguaggio a sua volta è stato in grado di influenzare la funzione cerebrale.