In altri articoli ho già affrontato il tema delle fake news e dei complotti, sia come argomento in generale (qui) che relativi alla pandemia di Covid (qui). A causa di notizie false e accuse di cospirazione, le persone stanno progressivamente perdendo fiducia nella scienza e l’impressione è che la pandemia di Covid abbia esacerbato la situazione. Da ricercatore quale sono, vorrei potermi fermare qui, ma per essere onesto al 100% devo ammettere che anche noi ci mettiamo del nostro. Nelle prossime righe, discuterò infatti alcune problematiche del mondo accademico/scientifico a causa delle quali medici e ricercatori sono talvolta invisi ad una parte della popolazione. Allo stesso tempo, però, rispedirò al mittente una serie di accuse, in quanto dovute esclusivamente a fake news oppure alle posizioni antiscientifiche di alcuni colleghi. 

Partiamo da una cruda verità: la medicina e la ricerca scientifica non sono una scienza esatta, perché i dati raccolti vanno interpretati. Le opinioni possono essere discordanti qualora i risultati non indichino bianco o nero, ma una sfumatura tra i due estremi. Inoltre, medici e ricercatori sono esseri umani, pertanto possono commettere errori tecnici e/o peccare di egocentrismo, arroganza, avidità. Molti sono onesti ed eticamente integri, altri purtroppo disonesti e guidati da inaccettabili conflitti d’interesse. Mi duole ammetterlo perché vorrei che il nostro ambiente fosse libero e puro, ma in realtà è identico a qualsiasi altro ambito lavorativo. 

Cosa è cambiato negli ultimi mesi? 

La pandemia di Covid ha aperto le porte al pubblico sul nostro lavoro e la gente ha visto qualcosa che non si aspettava ed è rimasta delusa. Quando medici, epidemiologi e virologi hanno iniziato ad essere intervistati con costanza, la gente si aspettava un fronte compatto che avrebbe fornito indicazioni chiare su come comportarsi per evitare il peggio. Invece, scienza e medicina non hanno saputo dare risposte precise. Al contrario, medici e scienziati si sono messi a litigare nei salotti della TV, con alcuni botta e risposta imbarazzanti per la categoria. La paura causata dalla situazione di emergenza e le incertezze per il futuro sono servite come miccia per far esplodere il disappunto della gente. 

Al mondo accademico/scientifico vanno imputate principalmente due pesanti responsabilità: la totale incapacità di fare divulgazione e la pessima organizzazione dell’ambiente accademico.

Affrontiamo prima il problema comunicativo. Nel mio piccolo, anche io provo a scrivere articoli di divulgazione su questo blog, e non sapete quanto sia difficile. Devo rileggerli svariate volte fingendo di non sapere nulla dell’argomento, per rendermi conto se siano davvero comprensibili a tutti. Alla fine devo sempre cambiare qualche vocabolo, oppure aggiungere delle informazioni necessarie per la comprensione del testo. Insomma, non mi è possibile scrivere di getto qualcosa di scientifico che sia comprensibile anche per chi non è familiare con il tema trattato. Incapacità mia? Anche, ma è un problema diffuso nella nostra categoria. Ogni settimana, la leggerezza comunicativa di medici e scienziati provoca qualche pesante incomprensione. L’ultimo equivoco è sorto dopo le parole del primario del San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo, secondo il quale “il coronavirus, dal punto di vista clinico, non esiste più”. Parole innocenti e scientificamente corrette, ma cosa ha capito la gente? Che la pandemia è finita. E allora basta distanziamento, basta mascherine, ricominciamo a vivere. Peccato che Zangrillo intendesse solamente dire che le terapie intensive si stanno svuotando di pazienti, in quanto la carica virale è diminuita grazie alle settimane di distanziamento sociale (il famoso Rt a 0,51 con il quale si è reso ridicolo l’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, per la sua erronea interpretazione). Questo esempio dimostra la facilità con la quale la gente può mal interpretare la comunicazione da parte di medici e scienziati. Colpa nostra, ovviamente, dal momento che informarvi correttamente e in maniera comprensibile è nostro dovere. Potremmo riassumere la questione dicendo che non è sufficiente conoscere la materia per saperla spiegare

Facciamo ora un passo avanti e concentriamoci sull’incertezza delle informazioni fornite. Com’è ovvio che sia, il pubblico si aspetta che una persona specializzata in un determinato ambito ne conosca perfettamente ogni meandro. Ma la scienza non funziona così. Nessun esperto ha avuto il coraggio di ammettere che nemmeno loro sapevano nulla di questo virus, per non rimanere fuori dai salotti della TV. La verità è che il coronavirus è un patogeno nuovo anche per noi, non essendo per nulla simile agli altri virus già noti (per questo motivo è stata esclusa la sua fabbricazione in laboratorio). In sostanza, abbiamo appreso le nuove informazioni insieme a voi. Così, prima doveva trattarsi di un semplice raffreddore, poi si muore per Covid o di Covid, fino a poco tempo fa si pensava che colpisse solo le vie respiratorie, mentre ora sappiamo che il quadro è ben più complesso. E poi le terapie: il plasma iperimmune, l’idrossiclorochina, la pagliacciata del finto farmacista in Giappone che sponsorizzava l’Avigan, eccetera. Questa grandissima confusione, aumentata dalle fake news (come quella sull’Avigan) non ha fatto altro che instillare dubbi nella gente circa la competenza degli esperti. Anche qui, l’errore è stato commesso dagli specialisti intervistati, che hanno anteposto l’egocentrismo all’etica professionale: hanno preferito una comparsata in TV al ragionevole silenzio in attesa che una notizia (riguardante terapie, statistiche o quant’altro) venisse prima confermata. 

Ora passiamo all’organizzazione dell’ambiente accademico. Cosa c’entra con la poca fiducia nella scienza? Iniziamo col dire che non si tratta di un problema italiano, ma è una questione riguardante la comunità accademica internazionale. Non vi annoierò con i dettagli. Vi basti sapere che quando in un laboratorio viene eseguito uno studio e si scopre qualcosa di nuovo, viene scritto un articolo al riguardo, per poi inviarlo ad una rivista specializzata. Più rilevante è lo studio, maggiore è la probabilità che venga pubblicato su una rivista prestigiosa. Se un editore è interessato, incarica delle persone esperte in materia di revisionare l’articolo, per individuare eventuali falle da colmare (generalmente vengono richiesti ulteriori esperimenti per confermare i dati presentati). Questo processo richiede svariati mesi. Come mai tutti gli articoli sulla Covid sono già disponibili? Perché il processo di revisione viene saltato o ridotto ai minimi termini, vista l’emergenza del caso e la necessità di condividere i dati il più in fretta possibile. Così succede che la prestigiosa rivista Lancet pubblichi il 22 maggio un articolo sul fatto che l’idrossiclorochina causi irregolarità nel battito cardiaco e un ridotto tasso di sopravvivenza, provocando l’interruzione di decine di trials in corso (per non mettere in pericolo i pazienti trattati con quel farmaco). Peccato che l’articolo sia stato ritrattato il 5 giugno, non essendo possibile verificare la veridicità dei dati forniti dagli autori. Ovviamente la responsabilità è esclusivamente di chi ha condotto lo studio per aver, intenzionalmente o meno, fornito dati non verificabili. Tuttavia, va riconosciuto che il mondo accademico è in ostaggio delle pubblicazioni, e qui arriviamo al problema di fondo: se non pubblichi, non ricevi fondi e il laboratorio chiude. Questo business fa si che pubblicare diventi più importante dell’integrità scientifica. Per questo motivo, il numero di ritrattazioni è in continuo aumento, sia a causa di errori involontari, che di vere e proprie frodi. Questo costituisce un gravissimo danno d’immagine per la ricerca. Basti pensare che la macro fake news sulla presunta correlazione tra vaccini e autismo è nata da una frode colossale perpetrata da Andrew Wakefield (anche quell’articolo, ironia della sorte, pubblicato su Lancet). Wakefield è stato il pioniere di una serie di medici e scienziati che nel corso degli anni hanno sostenuto tesi alternative ed antiscientifiche. Ma cosa vuol dire “antiscientifico”? Per rispondere, devo prima spiegare cosa sia il metodo scientifico. Introdotto nel XVII secolo, questo metodo inizia con l’osservazione di un fenomeno, al quale segue la formulazione di un’ipotesi per provare a spiegarlo. L’ipotesi viene quindi verificata eseguendo rigorosi esperimenti scientifici, che possono confermarla o smentirla. Vediamolo con un esempio pratico. Una persona ha una pressione sanguigna troppo elevata. Ipotizzo che un farmaco vasodilatatore possa abbassare la pressione ad un livello fisiologico, dal momento che allargando i vasi sanguigni, il sangue dovrebbe esercitare una pressione minore sulle pareti dei vasi. L’esperimento consiste nel misurare la pressione a diversi pazienti prima e dopo la somministrazione del farmaco. Siccome viene osservato un abbassamento della pressione alla seconda misurazione e nessun altro effetto collaterale, l’ipotesi (e quindi il trattamento) viene approvata. Le teorie antiscientifiche non seguono questo principio, in quanto i benefici ipotizzati non vengono confermati dagli esperimenti. La posizione della comunità scientifica è chiara e condivisibile: se non presenti dati verificabili (ovvero se io riproducendo i tuoi esperimenti non riesco ad ottenere gli stessi risultati), allora il tuo trattamento non viene approvato. Questo avviene per tutelare la salute dei pazienti, così che non perdano tempo prezioso per curarsi con dei placebo, o addirittura con terapie potenzialmente pericolose. 

Per non parlare dei casi passati, mi concentrerò solo sulle posizioni antiscientifiche più recenti, relative alla pandemia di Covid, che rispondono ai nomi di Giulio Tarro e Stefano Montanari: entrambi antivaccinisti, hanno criticato la gestione della pandemia, attaccando l’uso delle mascherine e sminuendo la pericolosità della malattia. La loro posizione è antiscientifica in quanto l’efficacia delle mascherine chirurgiche nel contenimento dei contagi è comprovata (e sotto gli occhi di tutti) e la loro avversione alla ricerca di un vaccino per la Covid non ha fondamento: ogni volta che un vaccino è stato approvato, la diffusione della malattia in questione è crollata. Allora perché non fare un tentativo? Se poi davvero il virus si dovesse rivelare così instabile da essere resistente, allora si lascerà perdere il vaccino e ci si concentrerà solo sulle terapie (che comunque ora non sono sottovalutate). La strategia di Tarro e Montanari di diffondere accuse non meglio precisate di complotti per lo sviluppo di farmaci e vaccini instilla dubbi sull’integrità morale della scienza, ed è inaccettabile. Penso che la comunità scientifica dovrebbe fare uno sforzo in più oltre a denunciarli per le loro posizioni antiscientifiche, e imparare a contrastarli in maniera più efficace. Infatti, mentre il diritto di parola è sacrosanto (anche per questi individui), la comunità scientifica ha il dovere di migliorare la propria attività divulgativa per spiegare alla gente la pericolosità delle loro esternazioni. Il metodo “violento” di denunciarli, non sortisce mai gli effetti sperati. Allo stesso modo, avevo trovato pessima la gestione dell’obbligo vaccinale istituito nel 2017. Non sono contrario, poiché per la sicurezza di tutti va mantenuta una soglia alta della copertura vaccinale e in quel periodo stava diminuendo pericolosamente. Tuttavia, la gente aveva il diritto di capire le ragioni di quella decisione così drastica, che andava ad interessare direttamente la vita delle persone. Ad esempio, invece di chiamare “imbecilli” le persone che per paura si rifiutano di vaccinare i propri figli, bisognerebbe avere la pazienza di interagire con loro, comprendendo le loro preoccupazioni. Certo, è più facile insultarli, ma se uno sceglie di fare il divulgatore, deve comportarsi come tale fino in fondo. A tal proposito si potrebbe spiegare perché esistono casi di rimborso dovuti a danno vaccinale, sebbene la ricerca scientifica non abbia mai riscontrato alcuna correlazione. Anche qui, non si tratta di un complotto per tenere nascosti i dati, però vista la complessità dell’argomento lo affronteremo in un’altra occasione.

Dopo questa breve digressione, torniamo in pista. Abbiamo visto le due gravi colpe della scienza (pessima comunicazione ed organizzazione alla base) e la pesante responsabilità degli pseudoscienziati. Ora affrontiamo l’argomento “fake news”. Ho già scritto qui del pericolo dell’infodemia sulla Covid, quindi non ripercorrerò le balle ormai datate sulla pandemia. Invece vi parlo della più recente disinformazione sulle autopsie. Qualcuno ha raccontato che con un documento del Ministero della Salute (questo), sarebbe stato imposto il divieto di effettuare autopsie sui pazienti deceduti per Covid. Bene, aprite il link e leggete il documento (pagina 4, punti 1, 2, 3 e 8). In breve, si raccomanda di evitare le autopsie se non strettamente necessarie (ovvero se la causa del decesso è evidente), e nel punto 3 si trova scritto: “Le autopsie e i riscontri possono essere effettuate solo in quelle sale settorie che garantiscano condizioni di massima sicurezza e protezione infettivologica per operatori ed ambienti di lavoro: sale BSL3…” Avete capito? Le autopsie si possono fare. Però le sale autoptiche BSL3 non sono molte, e pulirle dopo ogni autopsia per eliminare ogni traccia del virus è un lavoro certosino e richiede molto tempo. Pensate se ogni paziente dovesse essere sottoposto ad autopsia. Forse i morti di maggio sarebbero sepolti nel 2022, ad essere ottimisti. Come vedete, nessuno ha voluto insabbiare nulla sulle cause della malattia, che tra l’altro sono ormai ben note. Quindi, di che censura stiamo parlando?

Infine, vorrei lanciare una critica ai mezzi d’informazione, che hanno colpe non indifferenti nella gestione dell’infodemia. Come ho già scritto, l’atteggiamento di virologi, epidemiologi e medici è stato sbagliato fin dall’inizio, ma i giornalisti hanno buttato benzina sul fuoco: discutere di una pandemia seguendo il copione del dibattito politico per creare polemiche è stato un errore. Per esempio, che senso ha interpellare Sgarbi o Briatore sulla gestione della pandemia, se non hanno alcuna conoscenza medica e parlano (come sempre) per lo spettacolo? Quando ci si è resi conto che perfino gli esperti in materia facevano fatica a mettersi d’accordo, si sarebbe dovuto capire che era necessario lasciar spazio solamente alle voci autorevoli in materia (anche in maniera meno ossessiva), per evitare di raggiungere il livello di confusione che ha poi esasperato la gente.

In conclusione, avete ragione a lamentarvi di come gli esperti si sono comportati durante la pandemia, e scusateci se le vostre aspettative sono state disattese. Tuttavia, non lasciatevi ammaliare così facilmente da chi grida al complotto e alle verità nascoste, perché rischiate poi di entrare in un tunnel di falsità senza uscita. 

Facendo un riassunto dei punti chiave relativi all’argomento, potremmo compilare questo elenco:

  1. Il mondo era impreparato per affrontare una pandemia;
  2. La gente si aspettava una risposta chiara e precisa da parte della comunità scientifica, che non è arrivata;
  3. Come tutti, anche medici e scienziati sono attratti dalla notorietà e hanno anteposto il loro ego all’etica;
  4. Alcuni governanti incapaci hanno esasperato i danni, economici e alla salute (in tutto il mondo, sia chiaro);
  5. Alcuni pseudoscienziati hanno confuso ulteriormente la gente, instillando dubbi infondati sulla gestione della pandemia;
  6. Nessuno vi sta nascondendo informazioni sul virus;
  7. La ricerca sta facendo il possibile per creare farmaci specifici e un vaccino contro la Covid. Alcune terapie sembrano avere successo (ma per ora aspettiamo ad esultare) e solo quelle davvero efficaci saranno approvate;
  8. Sicuramente qualcuno guadagnerà molti soldi grazie alla produzione di farmaci e/o vaccini contro la Covid: è così che funziona l’economia capitalista, di cosa vi stupite? (E soprattutto perché non vi dà fastidio quando comprate un iPhone da 600 euro?)
  9. Davvero avete paura che l’app Immuni violi la vostra privacy? Dopo che condividete ogni istante della vostra vita su Facebook e Instagram, fate acquisti online e rimorchiate su Tinder? Non allarmatevi, alla vostra privacy avete rinunciato nel momento in cui avete iniziato a navigare su internet.