Storicamente, la classificazione biologica delle razze è stata associata all’eugenetica (la teoria che mira a migliorare la qualità genetica di una popolazione), alla giustificazione del genocidio (ad esempio l’Olocausto), al colonialismo, alla schiavitù. In pratica, niente di buono. Ma chi per primo ha pensato ad una classificazione delle razze umane? Nel 1758, Linneo propose quelle che considerava essere le categorie tassonomiche naturali della specie umana. Ha distinto Homo sapiens afer, europaeus, americanus e asiaticus. Sebbene Linneo mirasse a una classificazione obiettiva, nelle sue descrizioni utilizzò sia dati biologici che culturali. L’intento di Linneo non era discriminatorio. Egli infatti è stato il pioniere della classificazione scientifica di tutte le forme di vita, seguendo il suo motto “se non conosci il nome, muore anche la conoscenza delle cose”. Nel 1775, Blumenbach aggiornò la classificazione gli esseri umani in cinque razze, aggiungendo gli Oceaniani (che chiamò “Malay”) alla classificazione di Linneo.
Ora facciamo un salto temporale e spostiamoci al 2003, quando è stato completato il Progetto Genoma Umano, che aveva l’obiettivo di sequenziare il DNA delle persone. Questo lavoro ha permesso agli scienziati di esaminare le origini del genere umano attraverso la genetica.
Il DNA è un testo lungo 6,5 miliardi di caratteri, dei quali conosciamo la grammatica (le lettere che lo costituiscono), ma ancora troppo poco della sintassi. Sequenziando il genoma, si è scoperto che gli esseri umani hanno in comune il 99,6–99,8% di esso, e addirittura il 98,8% è condiviso con gli scimpanzé. Le poche differenze esistenti tra le persone (contenute nello 0,2-0,4% dell’intero genoma) riflettono le diversità ambientali dovute a fattori esterni. Per esempio il diverso colore della pelle si è sviluppato in modo indipendente, senza influenzare altri tratti come il comportamento e le capacità mentali.
Uno studio del 2002 ha esaminato la questione della diversità umana osservando la distribuzione di 4.000 alleli nelle sette principali regioni geografiche della Terra. Gli alleli sono le diverse varianti di un gene, che determinano una specifica caratteristica. Ad esempio, tutti gli esseri umani hanno gli stessi geni che codificano per i capelli: i diversi alleli sono il motivo per cui essi possono essere di colore e struttura diversi. Nello studio, oltre il 92% degli alleli analizzati è stato trovato in due o più regioni geografiche e quasi la metà degli alleli era presente in tutte e sette. Questo dimostra che vi è un’enorme somiglianza di base tra le persone, e ciò ha trovato conferme in svariati studi successivi.
Se esistessero davvero gruppi razziali o etnici separati, ci aspetteremmo l’esistenza di alleli tipici (una sorta di marchio di fabbrica) e altre caratteristiche genetiche che sono uniche per un singolo gruppo e non presenti in nessun altro. Tuttavia, lo studio del 2002 ha scoperto che solo il 7,4% degli oltre 4000 alleli era specifico per una regione geografica. E se questa percentuale fosse sufficiente per definire una razza? Non in questo caso. Infatti, gli alleli specifici per una regione sono stati rinvenuti solo in circa l’1% della sua popolazione, escludendo la possibilità che siano un marchio distintivo.
Pertanto, non vi è alcuna prova che i gruppi che comunemente chiamiamo “razze” o “etnie” abbiano identità genetiche distinte. Vi è un’ampia variabilità all’interno delle razze e questo rende ambigua la loro classificazione, tanto che due persone di origine europea potrebbero essere più geneticamente simili a una persona asiatica di quanto non lo siano tra di loro. Non ci credete? Allora ve lo dimostro. Prendiamo tre scienziati: James Watson (statunitense, lo scopritore del DNA, insieme a Francis Crick), Craig Venter (statunitense, che sfidò il Progetto Genoma Umano nella corsa al sequenziamento del DNA) e Kim Seong-jin (sudcoreano, uno dei pionieri del sequenziamento del DNA in Asia). Il DNA di tutti e tre è stato sequenziato ed è stato scoperto che Venter e Watson hanno più DNA in comune con Kim, piuttosto che tra di loro.
Quindi, possiamo definire il concetto di “razza” per la specie umana come un semplice costrutto sociale e biologicamente insignificante? Per le scienze biologiche e sociali la risposta è chiara: sì, la razza è un costrutto sociale e non un attributo biologico. Infatti, il termine stesso “razza” ha una definizione confusa da un punto di vista biologico/genetico, in quanto si basa sia su osservazioni fisiche (colore della pelle in primis, altezza, capelli, colore e forma degli occhi, eccetera), che su elementi non biologici (cultura, lingua, storia, religione, condizione socioeconomica).
Oggi, gli scienziati preferiscono usare il termine “antenati” per descrivere la diversità umana, che ha un significato ben più preciso. A differenza del termine “razza”, la parola “antenati” si concentra sulla storia di una persona, non sulla sua ascrizione ad una categoria piuttosto che a un’altra. Il termine riflette il fatto che le variazioni umane hanno una stretta connessione con le origini geografiche degli antenati. In un contesto clinico, ad esempio, gli scienziati direbbero che malattie come l’anemia falciforme e la fibrosi cistica sono comuni in persone di discendenza “sub-sahariana” o “nord europea”, rispettivamente, piuttosto che tra i “neri” o i “bianchi”.
Assodato che la genetica non distingue le razze, con sufficienti informazioni sul DNA di una persona, gli scienziati possono ipotizzarne la provenienza. A tale riguardo, vale la pena menzionare lo studio condotto da Cavalli-Sforza, Feldman e Myers e pubblicato su Science nel 2008: 650.000 “lettere” del genoma (appartenenti allo 0,2-0,4% di diversità) sono state analizzate in più di 1000 persone provenienti da 51 popolazioni diverse dell’Africa sub-sahariana, Nord Africa, Europa, Medio Oriente, Asia centro-meridionale, Asia orientale, Oceania e Americhe. I ricercatori hanno dimostrato che le popolazioni sono geneticamente distinguibili, tuttavia i caratteri genetici analizzati nello studio non influiscono sulla variazione dell’aspetto fisico. Questo significa che permettono di identificare con relativa certezza l’origine geografica dei suoi antenati, ma nessun tipo di classificazione.

In conclusione, esistono variazioni genetiche minime tra le persone, che aumentano leggermente se tali persone appartengono a popolazioni diverse. Tali variazioni nel genoma possono essere dovute ad una divergenza accelerata a causa della selezione locale, poiché gli esseri umani si sono diffusi in tutto il mondo negli ultimi 100.000 anni, adattandosi a una vasta gamma di habitat e climi, che ne hanno ovviamente alterato le caratteristiche. L’isolamento genetico dei gruppi etnici (alcuni più di altri) è stato rafforzato in passato dalla tendenza degli individui simili ad accoppiarsi tra loro e dall’endogamia (basata su fattori socio-culturali come la lingua e l’etnia). Poiché oggi vi è una maggiore mobilità e le barriere socio-culturali stanno diminuendo, la mescolanza sta diventando sempre più comune e le differenze genetiche tra le popolazioni presto si annulleranno.

Quindi le razze non esistono? Le razze non esistono da un punto di vista biologico e genetico, ma (purtroppo) esistono da un punto di vista politico e sociale. Storicamente, chi sostiene la superiorità di una razza sulle altre, spera che la genetica possa fornire delle argomentazioni al riguardo. La posizione degli scienziati è però chiara, come abbiamo visto, e li lascia con l’amaro in bocca: con l’aumento delle evidenze scientifiche, crescono le conferme del fatto che gli esseri umani siano più simili che diversi. Tuttavia non è raro che qualcuno di questi suprematisti insista nel sostenere la base genetica delle razze, portando articoli scientifici a sostegno delle proprie tesi. Vediamolo con un esempio. Molte persone di origine europea e asiatica hanno ereditato l’1-4% del loro DNA dagli antenati di Neanderthal, mentre quelle di origine africana no. Questa è un’evidenza scientifica. Siccome l’uomo di Neanderthal aveva un teschio più grande dell’Homo sapiens (vero anche questo), alcuni suprematisti negli USA affermano che europei e asiatici hanno un’intelligenza superiore agli africani perché hanno ereditato cervelli più grandi dai loro antenati di Neanderthal. Quest’ultima è una fesseria colossale, in quanto non esistono evidenze scientifiche che correlano la presenza di frammenti di DNA neanderthaliano nel genoma di una persona a una sua maggiore intelligenza.
E per le altre specie animali esistono le razze? Dipende. Le razze esistono per diverse specie, soprattutto quelle d’allevamento. Secoli di incroci mirati hanno fatto sì che animali della stessa specie si evolvessero in razze completamente diverse tra loro. Tra i cani, per esempio, ci sono animali enormi come gli alani e piccoli come i chihuahua, e potete scommettere che se arrivasse uno scienziato da un altro pianeta probabilmente li ascriverebbe addirittura a specie diverse. Per i cani, le razze esistono in quanto la loro diversità può essere confermata geneticamente: tra il DNA delle varie razze cambiano completamente interi frammenti cromosomici (un’enormità, confrontata alle minime variazioni nella specie umana). Lo stesso vale per gli scimpanzé: se uno scienziato analizzasse il DNA di uno scimpanzé saprebbe dire con certezza a quale delle quattro razze note l’animale appartiene. Per l’uomo e altri animali (specialmente quelli più mobili, come uccelli e pesci) non si può fare lo stesso. Addirittura, gli scienziati hanno iniziato a dubitare dell’esistenza delle specie (fino a pochi anni fa la distinzione più netta possibile), i cui confini sono molto più labili di quanto si pensasse, sia per fenomeni evolutivi, sia per ragioni genetiche. Ciò non deve sorprendere, in quanto l’evoluzione è un processo lento e progressivo, il cui risultato (la speciazione) è quindi difficile da categorizzare in maniera definita.
Fonti
https://www.nature.com/articles/ng1438
https://web.stanford.edu/group/rosenberglab/papers/popstruct.pdf
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0002929707610015
https://science.sciencemag.org/content/319/5866/1100.long
https://science.sciencemag.org/content/328/5979/680.summary
https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspb.2013.0168
Viva il Gabri e l’Ohio!
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Ottimo articolo!
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Spiegazione semplice ma accurata, grazie 🙂
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Spiegazione accurata, grazie 🙂
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Davvero interessante! ho scoperto qualcosa di nuovo!
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Avete volutamente evitato di documentare il genoma con l’ assenza totale del locus Rh “Rhesus” nel cromosoma 1 del DNA.
Come sempre schiavi del pensiero unico.
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