In precedenza, vi ho raccontato come la scienza stringa forti legami con l’arte, la musica e lo sport. Ora affronterò il rapporto che la lega alla letteratura, forse il più ovvio. Per coprire l’argomento in maniera esauriente dovrei scrivere un’enciclopedia a più volumi, ma proverò ugualmente a fornirvi una panoramica soddisfacente in questo articolo. 

Per definizione, la letteratura comprende tutto ciò che viene affidato alla scrittura, quindi anche tutti gli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche. Per questo ve ne parlerò brevemente prima di entrare nel vivo dell’argomento. 

Gli articoli scientifici

Solitamente, gli articoli scientifici descrivono in maniera dettagliata i risultati, rilevanti per la comunità scientifica, ottenuti da uno studio condotto da uno, o più gruppi di ricerca. Questi articoli sono quasi sempre scritti in inglese, che è diventata la lingua ufficiale della scienza e il lessico è molto rigoroso. Hanno una struttura precisa e ricorrente: nell’abstract si riassume in poche parole lo studio e i risultati ottenuti; nell’introduzione viene descritto l’argomento trattato, fornendo tutte le informazioni necessarie alla sua comprensione; nella sezione “materiali e metodi” viene descritto come è stato eseguito lo studio (quali esperimenti e quali reagenti sono stati utilizzati); nella sezione dei “risultati” si presentano i dati in maniera oggettiva; infine nella “discussione” gli autori spiegano l’importanza dei risultati e le possibili interpretazioni degli stessi. Ogni articolo presenta una bibliografia, ovvero la lista degli articoli scientifici rilevanti per lo studio in questione. 

La letteratura come strumento di divulgazione scientifica

Ritratto di Galileo Galilei

In epoca rinascimentale e barocca, gli scienziati erano soliti sfruttare la retorica per presentare le loro scoperte al pubblico. Infatti, l’umanesimo rinascimentale emergente si è rivelato un prezioso pool di risorse per i sostenitori di nuovi sistemi, nel dibattito contro i confini disciplinari e scientifici stabiliti. Anche i primi personaggi chiave della scienza moderna, come Galileo Galilei e Niccolò Copernico, sfruttarono la retorica della loro epoca in modo efficace, al fine di promuovere le loro teorie ed opinioni. Infatti, all’epoca, la scienza non era solo una questione empirica, ma anche retorica, in quanto il successo di una scoperta dipendeva soprattutto da come veniva riportata. Nel XVII secolo, non era raro che gli scienziati presentassero le loro scoperte attraverso dialoghi fittizi in luoghi immaginari. Basti pensare al racconto utopistico “La nuova Atlantide”, scritto da Francesco Bacone nel 1624, nel quale viene immaginata una società utopica che finanzia adeguatamente i suoi scienziati e fornisce loro lo spazio di ricerca e tutte le attrezzature di cui hanno bisogno (utopia rimasta tale, purtroppo). Bacone sentì la necessità di descrivere una società immaginaria per poter suggerire un ruolo alternativo della scienza nella società reale. Un cambiamento si è verificato durante il XVIII secolo, quando la scienza smise di sfruttare la retorica per la sua diffusione. Successe perché le teorie scientifiche stavano diventando troppo complicate per essere comprese dal grande pubblico, quindi gli scienziati decisero di desistere. 

La scienza come argomento letterario

La letteratura rinascimentale e barocca non fu solamente lo strumento di divulgazione della scienza, ma trasse anche ispirazione da essa. In particolare, in alcune opere si iniziò a ritrarre personaggi scientifici, in particolare medici, chirurghi e chimici, a causa del loro numero crescente e per il ruolo in questioni umane come la malattia e la morte.

Ritratto di Margaret Cavendish

Nel 1666, Margaret Cavendish, duchessa di Newcaste, scrisse uno dei primi romanzi di fantascienza (il primo scritto da una donna), “Il mondo sfavillante”. Si tratta di un romanzo utopistico, nel quale una giovane donna, dopo una serie di vicissitudini, giunge in un mondo parallelo dove le persone sono metà umane e metà animali (uomini-orso, uomini-volpe e così via) e la venerano come una divinità. Il romanzo è innovativo non solo per il genere, ma anche perché la protagonista è una donna che raggiunge il potere (impensabile per l’epoca). Un esempio diverso di mescolanza tra scienza e letteratura è il poema di Phineas Fletcher, “The Purple Island” del 1633, una descrizione metodica dell’anatomia umana immaginata metaforicamente come il paesaggio di un’isola. 

Durante l’Illuminismo, la matematica e le altre scienze assunsero un ruolo fondamentale nella società, come è comprensibile dalla letteratura dell’epoca. Così, Jonathan Swift, nella sua opera “I viaggi di Gulliver” del 1726, descrive un’isola, Laputa, che è sostenuta magneticamente in aria e abitata da uomini totalmente dediti alla matematica e alla musica. Inoltre, Swift fu in grado di prevedere che la scienza avrebbe favorito il potere di chi l’avesse controllata. Voltaire si è ispirato a Swift quando nel 1752 ha scritto il suo racconto “Micromega”, nel quale narra i viaggi nello spazio di un filosofo che giunge infine sulla Terra, dove ha modo di osservare l’abilità matematica delle persone incontrate.

Ritratto di Johann W. Goethe

Lo scrittore e poeta Johann W. Goethe ha cercato di contribuire alla conoscenza scientifica. A parte la sua filosofia naturale, scrisse una teoria (errata) sui colori e apportò interessanti contributi alle aree della morfologia vegetale e umana. Nella sua opera “Le affinità elettive” del 1809, Goethe si basa sull’idea che la passione umana tra i protagonisti non possa essere spiegata con lungimiranza razionale, proprio come i legami chimici e le loro separazioni, in base alle conoscenze dell’epoca. 

Scienza e letteratura hanno avuto modo di incontrarsi non solo nelle opere letterarie, ma anche nelle innovazioni. Infatti, quando a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo si instaurarono le università moderne, divennero popolari i seminari di ricerca, che ora sono il pane quotidiano delle “scienze dure” (quelle più pratiche). Tuttavia la loro origine è letteraria, in quanto sono stati introdotti all’Università di Gottingen, nell’ambito della filologia. Gli scienziati si appropriarono poi dell’idea e i seminari di ricerca vennero incorporati nel modello universitario tedesco, prima di diffondersi in tutto il mondo.

Charles Dickens

Nei grandi classici del diciannovesimo secolo, l’interesse per la rivoluzione industriale e la nascita del movimento operaio ricevono meno attenzione rispetto all’ascesa della borghesia e all’importanza del capitale. Sebbene la rivoluzione industriale sia iniziata in Inghilterra, persino Charles Dickens, affronta il problema solo in “Tempi difficili” del 1854, che è ambientato in una città industriale. In tutte le sue opere, Dickens è molto critico nei confronti di datori di lavoro, banchieri, politici e giudici, che pur essendo consapevoli delle terribili condizioni di vita dei lavoratori non fanno nulla per migliorarne la situazione. Solamente grazie all’opera “Germinal”, scritta da Emile Zola nel 1885, l’industrialismo e i lavoratori ricevettero un ruolo da protagonista. Il romanzo descrive la miseria fisica e morale dei minatori, le dure condizioni di lavoro, uno sciopero e la conseguente sanguinosa repressione. Si potrebbe pensare che, se l’industrialismo ha fatto fatica ad apparire in letteratura, la scienza “meno tecnologica” avrà avuto un impatto minore sulla letteratura. Questo non è il caso, dal momento che sono state scritte opere che avevano per protagonisti chimici, inventori e ingegneri. Ad esempio, l’inventore David Sechard di “Illusioni perdute” di Balzac (1837-43) o Pepe Rey, un giovane ingegnere protagonista nel romanzo di Pérez Galdós “Doña Perfecta” del 1876. 

Jules Verne
(fotografia di Nadar)

Jules Verne cerca addirittura di scrivere un “romanzo scientifico”, che comprenda risultati scientifici e tecnici, viaggi, esplorazioni e controllo degli elementi (in particolare di aria e acqua). Di conseguenza, molto più avanti del suo tempo, le sue opere includono viaggi (“Dalla Terra alla Luna” del 1865 e “Ventimila leghe sotto i mari” del 1870) e il concetto del controllo dell’uomo sulla natura grazie alla scienza e alla tecnologia (“L’isola misteriosa” del 1874). Tuttavia, l’apprezzamento della scienza da parte di Verne cambiò radicalmente con “I cinquecento milioni della Bégum” del 1879, nel quale smette di guidare il progresso dell’umanità e diventa una forza minacciosa che può essere utilizzata per scopi perversi, come la costruzione di armi. Inoltre, lo scienziato passa da essere un eroe a un antieroe perverso o pazzo. Questa visione avrebbe poi avuto una grande influenza sulla letteratura e sul cinema successivi. Herbert G. Wells, è considerato, insieme a Verne, un pioniere della letteratura di fantascienza, con i romanzi “La macchina del tempo” (1895), “L’isola del dottor Moreau” (1896), “L’uomo invisibile” (1897) e “La guerra dei mondi” (1898), che sono stati tutti trasformati in film. Recentemente però, l’origine del genere di fantascienza è stata anticipata all’inizio del XIX secolo, con l’opera “Frankenstein” di Mary Shelley, pubblicato nel 1818.

Anche le opere di Arthur Conan Doyle (1859-1930) sono intrise di contenuti scientifici: il metodo deduttivo (che l’autore aveva appreso durante gli studi di medicina) è infatti sfruttato da Sherlock Holmes nelle sue avventure. 

James Joyce
(fotografia Di Alex Ehrenzweig)

All’inizio del XX secolo, la scienza catturò l’interesse delle masse, con la diffusione delle automobili, l’invenzione dell’aereo, la scoperta della teoria sulla relatività. Quest’ultima in particolare influenzò marcatamente l’arte (la pluralità della prospettiva nel cubismo di Escher) e l’architettura con il movimento Bauhaus. Anche la letteratura si è adattata, scegliendo un punto di vista multiplo del narratore, e modulando lo scorrere del tempo. Queste caratteristiche possono essere ritrovate nelle opere di Virginia Wolf, William Faulkner, Thomas Mann e James Joyce. Quest’ultimo in particolare gioca con una narrazione molto particolare del tempo, come è evidente nell’”Ulisse” del 1922: in mille pagine racchiude la storia di una giornata del protagonista, Leopold Bloom, che viaggia attraverso la città di Dublino. Ma è in “Finnegan’s Wake” del 1939 che Joyce fa l’uso più originale del tempo: infatti il tempo è ciclico, come si scopre nel momento in cui si inizia la lettura, poiché l’opera si apre con l’ultima parte di una frase incompleta e si conclude con un frammento di frase che può essere trasformato in una frase completa allegandola alle parole che iniziano il libro. 

Leggendo “Se questo è un uomo” (1956) di Primo Levi, si apprende che l’autore si è salvato nel lager di Auschwitz grazie alle sue conoscenze di chimica. Il fisico Aleksandr Solzhenitsyn, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1970, nel suo “Il primo cerchio” (1968) ha raccontato in che modo scienziati e ingegneri imprigionati nei campi di concentramento dovevano lavorare per conto del KGB, (i servizi segreti dell’URSS). Nel suo lavoro intitolato “Vita e destino” (1959), l’ingegnere Vasily Grossman creò una versione del XX secolo di “Guerra e Pace”, nel quale sfrutta molte storie della Seconda Guerra Mondiale e narra le difficoltà a vivere come fisico sotto la dittatura di Stalin. 

Umberto Eco
(Ufficio Stampa Università Mediterranea di Reggio Calabria https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=694892, nessuna modifica apportata)

Altri autori del XX secolo che non avevano una preparazione scientifica, ma hanno comunque trattato egregiamente la scienza nelle loro opere sono Marguerite Yourcenar, che nella sua “L’opera al nero” del 1968 racconta le difficoltà e la persecuzione di uno scienziato nel XVI secolo; Umberto Eco, che “Nel nome della Rosa” (1980) racconta la scienza medievale e le idee di Ruggero Bacone; Michel Houellebecq che ne “Le particelle elementari” (1998), descrive un fisico che cambia il suo settore di ricerca per dedicarsi alla genetica, come fece Francis Crick. Jorge Volpi, nel romanzo “In cerca di Klingsor” (1999) descrive la fisica e i fisici quantistici e nucleari in Germania durante il periodo di Hitler, e in “Non sarà la terra” (2010, versione italiana) affronta temi come guerra biologica, l’intelligenza artificiale e il progetto sul genoma umano. Ian McEwan tratta la scienza in diverse opere: in “L’amore fatale” del 1997, nella quale descrive il confronto tra uno scienziato razionale e una donna di cultura; in “Sabato” (2005), nella quale racconta una giornata di un neurochirurgo sullo sfondo delle proteste contro la guerra in Iraq nel febbraio 2003; in “Solar” (2010), nella quale racconta la storia di un premio Nobel per la Fisica inizialmente scettico sul cambiamento climatico, ma che poi grazie a un sistema per produrre energia pulita esce dall’oblio e torna al successo.

La scienza è anche trattata nella letteratura come fonte di preoccupazione. Diverse opere rimandano infatti alla responsabilità morale degli scienziati per quanto riguarda argomenti spinosi (fisica nucleare, l’ingegneria genetica), oppure immaginano come la società evolverà nel futuro in risposta al progresso tecnologico. Alla prima categoria appartengono la “Vita di Galileo” (1939) di Bertolt Brecht, e “I fisici” (1963) di Friedrich Dürrenmatt, alla seconda si rifanno le distopie de “Il mondo nuovo” (1932) di Aldous Huxley, “1984” (1949) o “Fahrenheit 451” (1953) di Ray Bradbury.

Quando la poesia prende vita

Christian Bök
(By Laurence Sterne Trust staff https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37975384, nessuna modifica apportata)

Ora vi racconto l’idea del poeta canadese Christian Bök, il cui progetto “Xenotext” ha fatto sì che una poesia venisse inserita nel genoma di un batterio e codificata dallo stesso, diventando la prima “poesia vivente”. In particolare, nel 2011 Bök affermò che, in un laboratorio dell’Università di Calgary, il suo monogramma poetico (il gene X-P13) era stato inserito nel genoma di un batterio e tale modifica aveva fatto sì che l’organismo emettesse una fluorescenza rossa. Questo perché il monogramma induce il batterio a proseguire autonomamente il suo poema. Tradotto in linguaggio scientifico, il batterio legge il monogramma, scritto ovviamente nella lingua del DNA, insieme al suo genoma e questo induce la produzione di una nuova proteina, fluorescente. Il batterio non è stato casuale: la scelta è caduta sul Deinococcus radiodurans, un organismo in grado di sopravvivere anche nei milieus più ostili, compreso il vuoto dello spazio. Il poeta spiega il motivo di questo progetto: “ho progettato una forma di vita in modo che diventi non solo un archivio per conservare una poesia, ma anche una macchina operante per scrivere una poesia, che può persistere sul pianeta fino a quando il sole non esploderà”. 

Scienza e letteratura: quanto sono distanti?

C.P. Snow
(fotografia di Jack Manning)

Diverse figure di spicco nel XX secolo hanno sostenuto che scienza e letteratura siano diventate ormai incompatibili: basti pensare alla conferenza di C. P. Snow Le due culture” nel 1959, nel corso della quale lo scienziato e scrittore britannico affermò che la scienza e le discipline umanistiche si erano divise in due culture e che questa divisione rappresentava un grave ostacolo per entrambi nel tentativo di risolvere i problemi del mondo. Questa concezione influenzò significativamente il mondo occidentale, tant’è che spesso la separazione tra materie umanistiche e quelle più tecniche viene vissuta come un cliché, un pregiudizio. Questo venne valorizzato da diverse situazioni, più o meno rilevanti, che si sono succedute negli ultimi decenni. Ad esempio, il fisico premio Nobel nel 1965 Richard Feynman raccontò che per tutta la vita ha provato avversione per gli studi umanistici. Un altro caso emblematico avvenne negli USA negli anni ‘90, ed è stato quello della “Science Wars” (la guerra della scienza), che fu un confronto intellettuale tra realisti scientifici e critici postmodernisti sulla natura delle teorie scientifiche. I primi sostenevano la conoscenza scientifica e accusavano i postmodernisti di negare l’oggettività del metodo scientifico; i secondi invece ritenevano che le teorie scientifiche fossero costrutti sociali e che altri metodi di ricerca della conoscenza si adattassero meglio ai bisogni personali e spirituali delle persone. 

Come ogni pregiudizio, anche quello sulla netta separazione tra letteratura e scienza è sbagliato. Sono discipline ben distinte, ma non isolate. Invece di essere trattate come isole, le varie culture andrebbero viste come spazi approssimativamente definiti, ma con confini porosi. Non ci sono muri tra le culture, ma frontiere e spazi di transizione. Anche Feynman ha sfruttato metafore ed esempi letterari nei suoi libri semi-autobiografici, inoltre Niels Bohr, premio Nobel per la fisica nel 1922, tenne lezioni di psicologia e parlò di poesia. Dall’incontro tra scienza e letteratura è nato il genere della fantascienza. Molti dei migliori autori del genere sono stati scienziati, come Fred Hoyle (direttore dell’Institute of Astronomy di Cambridge), Gregory Benford (professore di astrofisica all’Università della California), Carl Sagan (professore di astronomia e scienze spaziali e direttore del Laboratory for Planetary Studies presso la Cornell University), o hanno studiato per diventarlo, come Isaac Asimov, Robert A. Heinlein, e Michael Crichton, che hanno studiato rispettivamente biochimica, ingegneria meccanica e medicina. Se invece vogliamo vedere qualche letterato muovere passi in ambiente scientifico, possiamo guardare ad Edgar Allan Poe, che non solo fu un’eccezionale figura letteraria, ma anche un intellettuale che ha attinto e partecipato ai dibattiti scientifici del suo tempo. Il suo poema “Eureka” può essere inteso come un contributo ai dibattiti metodologici dell’epoca. In particolare, Poe propone un nuovo modo di deduzione come modello scientifico, mentre sostiene la necessità dell’intuizione e dell’immaginazione nel suo modus operandi. Infine, la poetessa Odysseas Elytis, che vinse il premio Nobel per la poesia nel 1979, scrisse opere intrise di concetti matematici e geometrici, ai quali ha saputo attribuire un grande effetto emotivo e simbolico. 

Un riavvicinamento tra scienza e letteratura sarebbe positivo per entrambe

Negli anni ‘60 e ‘70, Marjorie Nicolson (1894-1981) ha documentato i vari modi in cui gli sviluppi scientifici si sono fatti strada nella poesia del XVIII secolo. Il classico del 1985 “La grande polemica devoniana” di Martin Rudwick mostra come l’interazione letteraria e retorica abbia avuto un ruolo chiave nella pratica della geologia in epoca vittoriana. Nel 1997, Peter Galison, influenzato dalle opere di Serres e Foucault, ha pubblicato “Image and logic” nel quale ha preso in prestito il concetto di linguaggio pidgin per descrivere cosa succede quando diverse culture scientifiche interagiscono. [Il linguaggio pidgin è un mezzo di comunicazione grammaticalmente semplificato che si sviluppa tra persone che non hanno una lingua in comune.] 

Esistono decine di altri esempi che dimostrano come scienza e letteratura possano arricchire la nostra comprensione di entrambe, se studiate insieme. Ma come migliorare la loro interazione? La strategia deve essere quella di trovare un muro per ricavarci una porta, al fine di superare il dibattito tra le due culture introdotto da Snow.

Una pratica già in uso è quella di proporre lezioni universitarie “ibride”, come “Poesia per Scienziati” e “Fisica per Poeti”, che hanno dimostrato di suscitare interesse tra gli studenti. Un’altra possibilità è di incoraggiare la lettura di libri che possano aiutare il grande pubblico ad avvicinarsi alle idee e ai concetti scientifici. Ad esempio, “In cerca di Klingsor” di Volpi, aiuta gli studenti ad apprendere la teoria dei quanti e quella dei giochi. Altri lavori (molti dei quali citati nei paragrafi precedenti) descrivono invece il modo in cui gli scienziati lavorano (il cosiddetto metodo scientifico) e il lato umano della scienza, i contesti sociali e storici in cui si sviluppa, o la posizione degli scienziati nella società. 

In conclusione, affinché i vari mondi della conoscenza si possano unire, ogni disciplina (quindi anche la scienza) deve poter essere integrata nella cultura globale, così da diventare uno dei suoi elementi imprescindibili. 

Fonti

https://web.archive.org/web/20120210033044/http://www.bbk.ac.uk/cprc/news/Bok_at_BBK

https://link.springer.com/article/10.1007/s11191-013-9601-x#Fn1

Science, scientists and literature