Tra le molte domande fondamentali che la scienza si pone sulle origini della vita, una delle più profonde riguarda l’esistenza di un punto comune da cui discendono tutti gli organismi viventi. Questo punto non è mitologico né filosofico, ma biologico e ben definito: viene indicato con l’acronimo LUCA, Last Universal Common Ancestor, ovvero Ultimo Antenato Comune Universale. LUCA rappresenta l’organismo – o più correttamente la popolazione di organismi – da cui derivano tutte le forme di vita oggi esistenti sulla Terra, dai batteri più semplici agli esseri umani.

È importante chiarire fin dall’inizio cosa LUCA non è. LUCA non coincide con la prima forma di vita apparsa sul pianeta e non va immaginato come una singola “cellula primordiale” isolata. Al contrario, esso è il risultato di una lunga fase precedente di evoluzione chimica e biologica, durante la quale molecole sempre più complesse hanno iniziato a organizzarsi, replicarsi e competere. LUCA rappresenta il punto più antico dell’albero della vita che possiamo ricostruire con ragionevole certezza attraverso la genetica comparata.
Tutti gli organismi viventi condividono infatti una serie di caratteristiche così profonde e specifiche da poter essere spiegate solo da un’origine comune. Il codice genetico, che stabilisce come le sequenze di nucleotidi vengano tradotte in proteine, è praticamente universale. I ribosomi, le strutture cellulari che sintetizzano le proteine, funzionano secondo lo stesso principio in ogni forma di vita conosciuta. Le principali vie metaboliche di base, come quelle coinvolte nella produzione di energia, mostrano sorprendenti somiglianze anche tra organismi molto distanti dal punto di vista evolutivo. Tutto questo indica che LUCA possedeva già una biochimica sofisticata e ben strutturata.
Dal punto di vista temporale, LUCA viene collocato tra i 3,8 e i 4 miliardi di anni fa, in un’epoca in cui la Terra era un pianeta giovane, geologicamente instabile e privo di ossigeno libero nell’atmosfera. Gli oceani erano già presenti, il vulcanismo era intenso e l’energia chimica abbondante. In questo contesto, LUCA doveva essere un organismo anaerobico, incapace di utilizzare l’ossigeno, che peraltro sarebbe diventato comune solo centinaia di milioni di anni più tardi, con l’avvento della fotosintesi ossigenica.
Le evidenze genetiche suggeriscono che LUCA vivesse in un ambiente acquatico e che fosse probabilmente associato a sorgenti idrotermali sottomarine. Questi ambienti, ancora oggi presenti sui fondali oceanici, offrono condizioni particolarmente favorevoli alla chimica della vita: acqua liquida, abbondanza di minerali, gradienti di temperatura e di potenziale chimico capaci di fornire energia continua. In un mondo primordiale privo di luce solare penetrante negli oceani profondi, l’energia chimica rappresentava una risorsa cruciale.
Uno degli aspetti più affascinanti di LUCA è il fatto che, pur essendo estremamente antico, non fosse affatto “semplice” nel senso comune del termine. Per essere l’antenato di tutte le forme di vita moderne, LUCA doveva già possedere un sistema di replicazione dell’informazione genetica, probabilmente basato su DNA o su una combinazione di DNA e RNA, oltre a un apparato molecolare per la sintesi delle proteine. Questo implica che la vera origine della vita precede LUCA e che le prime fasi, spesso descritte con l’ipotesi del mondo a RNA, siano state un laboratorio evolutivo durato milioni di anni.
LUCA rappresenta quindi una sorta di “collo di bottiglia” evolutivo. Molte forme di vita primitive potrebbero essere emerse indipendentemente nelle prime ere della Terra, ma solo una linea evolutiva ha lasciato discendenti fino a oggi. Tutti gli altri esperimenti biologici sono scomparsi senza lasciare tracce dirette. In questo senso, LUCA non è soltanto un antenato, ma anche un testimone silenzioso della selezione naturale più antica, quella che ha stabilito le regole fondamentali della vita terrestre.
Lo studio di LUCA non è importante solo per comprendere il nostro passato. Ha implicazioni profonde anche per l’astrobiologia. Se le caratteristiche fondamentali di LUCA – come l’uso dell’acqua come solvente, la chimica del carbonio e i meccanismi di replicazione molecolare – sono il risultato di leggi fisiche e chimiche universali, allora forme di vita simili potrebbero emergere anche altrove, su pianeti con condizioni analoghe. In questo senso, LUCA diventa una chiave interpretativa non solo della vita sulla Terra, ma della vita nell’universo.
In definitiva, LUCA non è un fossile, né un organismo che possiamo osservare direttamente, ma una ricostruzione scientifica potente, ottenuta incrociando genetica, biochimica, geologia e fisica. È il punto più profondo a cui possiamo risalire nel racconto della vita e rappresenta il momento in cui la materia, guidata dalle leggi della natura, ha definitivamente oltrepassato la soglia che separa la chimica dalla biologia.
Come è stato identificato LUCA e quanto siamo certi della sua esistenza
LUCA non è stato “scoperto” nel senso tradizionale del termine: non esistono fossili, resti materiali o tracce dirette di questo antico antenato. La sua identificazione è il risultato di un lungo lavoro di ricostruzione indiretta, basato su uno degli strumenti più potenti della scienza moderna: il confronto genetico e molecolare tra tutti gli esseri viventi. LUCA è quindi una deduzione scientifica, non un reperto, ma una deduzione fondata su evidenze straordinariamente robuste.
L’idea di un antenato comune universale nasce già con Darwin, ma rimane puramente teorica fino alla seconda metà del Novecento. La svolta avviene quando la biologia inizia a studiare la vita non solo a livello anatomico o fisiologico, ma a livello molecolare. Con la scoperta della struttura del DNA e, soprattutto, con lo sviluppo delle tecniche di sequenziamento, diventa possibile confrontare direttamente i “testi” fondamentali della vita: geni, RNA e proteine.
Analizzando questi dati, i biologi scoprono qualcosa di sorprendente. Tutti gli organismi conosciuti, senza eccezione, utilizzano lo stesso codice genetico, basato sulle stesse quattro basi nucleotidiche, tradotto attraverso lo stesso meccanismo molecolare. Ancora più significativo è il fatto che alcune strutture, come i ribosomi, presentano regioni talmente conservate da essere quasi identiche in batteri, archei ed eucarioti. Tali somiglianze non possono essere spiegate con convergenza evolutiva o semplice caso: indicano chiaramente un’origine comune.
Il passo decisivo arriva con la costruzione degli alberi filogenetici molecolari. Confrontando le differenze e le somiglianze nelle sequenze genetiche, è possibile ricostruire le relazioni evolutive tra gli organismi, un po’ come ricostruire un albero genealogico a partire dai cognomi e dai documenti storici. Quando questi alberi vengono tracciati utilizzando geni fondamentali, coinvolti nei processi più essenziali della vita, tutte le linee evolutive convergono verso un unico punto profondo nel tempo. Quel punto è ciò che chiamiamo LUCA.
Un aspetto cruciale è che questa convergenza emerge indipendentemente da molti studi diversi, condotti con metodi differenti e su molecole diverse. Che si analizzino RNA ribosomiali, enzimi metabolici o geni coinvolti nella replicazione del DNA, il risultato non cambia: esiste una radice comune. Questo rende l’ipotesi di LUCA estremamente solida dal punto di vista scientifico.
Naturalmente, questo non significa che conosciamo LUCA in ogni dettaglio. La scienza distingue con attenzione tra ciò che è certo e ciò che è inferito. Siamo certi che tutta la vita attuale condivide un antenato comune, perché le alternative sarebbero incompatibili con l’universalità del codice genetico e con l’architettura molecolare condivisa. Siamo anche certi che questo antenato fosse già biologicamente complesso, dotato di un sistema di replicazione, di traduzione genetica e di un metabolismo organizzato. Su altri aspetti, come la sua esatta struttura cellulare o il suo ambiente preciso, esistono ipotesi ben fondate ma non definitive.
È importante sottolineare che LUCA non implica che sia esistita una sola forma di vita primordiale. Al contrario, è molto probabile che nei primi centinaia di milioni di anni della storia terrestre siano emerse molte linee di vita primitive, basate su chimiche simili ma non identiche. La maggior parte di queste linee si è estinta senza lasciare discendenti. LUCA rappresenta l’unica linea evolutiva che ha superato tutti i colli di bottiglia ambientali ed evolutivi, diventando l’antenato di ogni organismo attuale. In questo senso, LUCA è un concetto storico ed evolutivo, non un evento istantaneo.
Quanto alla certezza della sua esistenza, in biologia evolutiva LUCA è considerato uno dei concetti più solidi in assoluto. Mettere in dubbio LUCA significherebbe dover spiegare come strutture molecolari estremamente complesse e identiche nei dettagli siano nate più volte in modo indipendente, un’ipotesi che contraddice ciò che sappiamo delle leggi della chimica e dell’evoluzione. Per questo motivo, l’esistenza di LUCA è ritenuta virtualmente certa, anche se la sua forma precisa rimane oggetto di ricerca.
In definitiva, LUCA non è una figura ipotetica nel senso debole del termine, ma una necessità logica imposta dai dati. È il punto più remoto a cui possiamo risalire con gli strumenti della scienza, il fondamento comune su cui poggia l’intera biosfera terrestre. Comprenderlo significa capire non solo da dove veniamo, ma anche quali aspetti della vita potrebbero essere universali, ovunque nell’universo esistano condizioni favorevoli alla sua nascita.
Esisteva vita prima di LUCA?
Sì, con ogni probabilità qualcosa è esistito prima di LUCA, ed è anzi una delle conclusioni più solide a cui conduce la biologia delle origini. LUCA, l’Ultimo Antenato Comune Universale, non rappresenta l’inizio della vita, ma il punto più remoto dell’evoluzione biologica che possiamo ricostruire con sicurezza. Il solo fatto che LUCA fosse già un sistema biologico complesso implica necessariamente l’esistenza di una lunga fase precedente, nella quale la materia ha gradualmente acquisito le proprietà che oggi associamo alla vita.
Nei primi centinaia di milioni di anni dopo la formazione della Terra, il pianeta era un ambiente profondamente diverso da quello attuale. Gli oceani si erano già formati, il vulcanismo era intenso e l’atmosfera era priva di ossigeno libero. In questo contesto energeticamente ricco, la chimica operava senza sosta. Molecole organiche semplici, come amminoacidi, zuccheri e basi azotate, potevano formarsi spontaneamente sia sulla Terra sia essere apportate dallo spazio. Questa fase, nota come evoluzione chimica prebiotica, non era ancora vita, ma costituiva il terreno fertile su cui la vita avrebbe potuto emergere.
Il passaggio cruciale avvenne quando alcune di queste molecole iniziarono a comportarsi in modo nuovo, acquisendo la capacità di replicarsi. La comparsa di replicatori molecolari segna una soglia concettuale fondamentale: per la prima volta entra in gioco una forma primitiva di selezione naturale. Le molecole che si replicavano in modo più efficiente tendevano a diventare più abbondanti, mentre le altre scomparivano. In questa fase, il confine tra chimica e biologia diventa sfumato. La vita, in senso stretto, non è ancora pienamente presente, ma non si tratta più di semplice chimica inerte.
L’ipotesi più accreditata per descrivere questo stadio è quella del cosiddetto mondo a RNA. L’RNA è una molecola straordinaria perché può svolgere una doppia funzione: immagazzinare informazione genetica e catalizzare reazioni chimiche. Prima dell’esistenza di DNA e proteine, sistemi basati principalmente su RNA avrebbero potuto sostenere cicli di replicazione imperfetta, accumulando variazioni su cui la selezione poteva agire. Questo suggerisce che, prima di LUCA, siano esistiti sistemi biologici molto più semplici, ma già soggetti a dinamiche evolutive.
Un ulteriore passo verso la biologia vera e propria fu l’organizzazione spaziale di questi sistemi. In ambiente acquoso, molecole lipidiche possono auto-assemblarsi spontaneamente formando vescicole, strutture simili a minuscole bolle. Quando tali vescicole inglobavano molecole replicanti, nascevano le cosiddette protocellule. Queste entità non erano ancora cellule nel senso moderno del termine, ma introducevano un concetto fondamentale: la compartimentazione. Separare un “interno” da un “esterno” rendeva la selezione più efficace e permetteva l’emergere di una forma primitiva di individualità biologica.
La Terra pre-LUCA potrebbe essere stata popolata da un mosaico di protocellule diverse, basate su chimiche differenti, alcune delle quali oggi completamente scomparse. Non esiste alcuna ragione per pensare che la vita abbia avuto un’unica origine lineare. Al contrario, è probabile che siano esistiti numerosi esperimenti evolutivi paralleli, la maggior parte dei quali si è estinta senza lasciare discendenti. LUCA rappresenta la linea che, per una combinazione favorevole di stabilità, efficienza e adattabilità, è riuscita a superare tutti i colli di bottiglia ambientali ed evolutivi.
Il fatto che LUCA fosse già dotato di un sistema genetico complesso, di un metabolismo organizzato e di un apparato molecolare per la sintesi delle proteine dimostra che esso non può essere stato il primo vivente. È piuttosto il risultato di una lunga storia precedente, durata forse decine o centinaia di milioni di anni, durante la quale la materia ha gradualmente imparato a copiare se stessa, a organizzarsi e a evolvere.
Non possediamo prove dirette di questa fase pre-LUCA, perché i sistemi coinvolti erano microscopici, fragili e privi di strutture fossilizzabili, e perché la superficie terrestre primordiale è stata profondamente rimaneggiata dalla geologia. Tuttavia, l’insieme delle evidenze indirette, che provengono dalla chimica prebiotica, dalla biologia molecolare e dalla logica evolutiva, rende l’esistenza di una fase pre-LUCA non solo plausibile, ma praticamente inevitabile.
In questo senso, LUCA segna il momento in cui la vita diventa continua, ereditabile e ininterrotta fino al presente. Prima di LUCA, la vita era un processo emergente, instabile e sperimentale; dopo LUCA, diventa una storia evolutiva unica e ramificata, che conduce direttamente a tutta la biodiversità che oggi conosciamo.
