Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2020 il cancro ha causato quasi dieci milioni di morti in tutto il mondo, e nei prossimi 30 anni sarà responsabile di una spesa di 25 trilioni di dollari.

È evidente che una terapia per curare il cancro è sempre più necessaria. Qual è la strategia migliore da seguire a tal proposito?

Sembra che la strada più promettente sia l’immunoterapia.

Ma procediamo un passo alla volta. Il cancro è causato da mutazioni del DNA in una cellula. Queste mutazioni le permettono di eludere le regole imposte dall’organismo. Così, la cellula inizia a moltiplicarsi senza controllo, diventando in un certo senso “anarchica”. Come si può fermare un tumore? In teoria, nello stesso modo attraverso il quale si ferma una qualsiasi infezione. Il sistema immunitario dovrebbe riconoscere l’agente patogeno (o in questo caso, le cellule cancerogene), ed ucciderlo. Ma allora perché non succede? A dir la verità, succede nella maggior parte dei casi. È che quando succede non ce ne rendiamo conto perché non vi sono manisfestazioni cliniche. È quindi più corretto dire che a volte le cellule cancerogene riescono ad eludere la sorveglianza immunitaria, e solo queste riescono a proliferare e a generare un tumore.

La scoperta dell’immunoterapia contro il cancro

Nel 1909, il premio Nobel Paul Ehrlich formulò l’ipotesi che la difesa immunitaria dell’ospite possa impedire alle cellule neoplastiche di svilupparsi in tumori. Nello specifico, affermò che: “nel corso enormemente complicato dello sviluppo fetale e post-fetale, le cellule aberranti diventano insolitamente comuni. Fortunatamente, nella maggior parte delle persone, rimangono latenti grazie ai meccanismi positivi dell’organismo”. Questa ipotesi non poté essere provata sperimentalmente all’epoca a causa dell’inadeguatezza degli strumenti e delle conoscenze sperimentali.

In seguito, alcuni biologi proposero l’esistenza di un “meccanismo di sorveglianza immunologica” nei confronti delle cellule tumorali. Lewis Thomas suggerì che il sistema immunitario sappia riconoscere ed eliminare le nuove cellule tumorali grazie alla produzione, da parte di esse, di antigeni tumorali specifici, in modo analogo a come avviene il rigetto dopo un trapianto. Per l’appunto, un antigene tumorale viene definito come una molecola espressa esclusivamente su cellule cancerogene che è in grado di indurre una risposta immunitaria. La prima chiara dimostrazione in laboratorio di questa ipotesi avvenne nel 1953.

Negli anni ’70, Sir Frank Mac Farlane Burnet ipotizzò che gli antigeni delle cellule tumorali inducano una reazione immunologica contro il cancro e in seguito a ciò formulò la teoria della sorveglianza immunitaria, spiegando che: “Non è affatto inconcepibile che un piccolo accumulo di cellule tumorali possa svilupparsi e, a causa del loro possesso di nuove potenzialità antigeniche, provochi un’efficace reazione immunologica con regressione del tumore e nessun indizio clinico della sua esistenza”.

L’addestramento del sistema immunitario: la SWAT in azione contro il cancro

I tumori che vengono diagnosticati sono quelli originati da cellule capaci di eludere la sorveglianza immunitaria. Per eliminarli, bisogna adottare qualche “trucco” per far sì che il sistema immunitario li possa riconoscere. Come?

Per rispondere, non posso evitare di raccontarvi il lavoro del premio Nobel James Allison.

Per tutta la sua carriera ha lavorato sul sistema immunitario, in particolare sulle cellule T. Queste sono i “sicari” in grado di eliminare le cellule tumorali e tutte le altre cellule non conformi all’omeostasi dell’organismo (per esempio quelle infette da virus). All’inizio degli anni ’80, identificò cosa avvia la risposta di una cellula T e all’inizio degli anni ’90 scoprì cosa ne causa un’attività più intensa. Nel 1995, identificò anche i “freni” di queste cellule (sì, praticamente ha scoperto tutto lui), il che gli diede un’idea: se questi freni venissero rilasciati, le cellule T potrebbero attaccare il cancro.

Contro lo scetticismo generale, nel 2001 iniziò la sperimentazione clinica di ipilimumab, un farmaco sviluppato dalla sua ricerca, per pazienti con melanoma metastatico, un tumore notoriamente difficile da rallentare o curare. Questo farmaco aveva il compito di togliere il freno al sistema immunitario, così che potesse combattere il tumore. Solo il 12% circa dei pazienti con questo tipo di melanoma sopravviveva anche solo due anni dopo la diagnosi, ma dopo il trattamento con l’ipilimumab, il 20-25% dei pazienti sopravvisse per più di tre anni. Addirittura, un paziente era ancora vivo 10 anni dopo l’interruzione della terapia e un altro à andato in remissione completa (nessuna ricaduta per oltre 18 anni). Ipilimumab è stato il primo farmaco in assoluto ad aumentare il tasso di sopravvivenza per il melanoma metastatico, e il suo successo ha lanciato il “blocco del checkpoint immunitario” come terapia contro il cancro. Questo approccio è ora approvato per più di una dozzina di diversi tipi di cancro. Ora capite perché Allison ha vinto il premio Nobel.

I primi vaccini preventivi contro il cancro

Questo tipo di terapia, nota come immuno-oncologica, si è evoluta seguendo diverse strategie e una di quelle più promettenti riguarda i vaccini antitumorali.

I vaccini contro il cancro hanno iniziato a essere sviluppati non appena negli anni ’80 è stato scoperto il legame tra papillomavirus umano (HPV) e cancro. Il premio Nobel Harald zur Hausen ed i suoi colleghi hanno scoperto che due tipi di papillomavirus, HPV 16 e HPV 18, erano presenti in oltre il 70% dei tumori cervicali. Scoprirono anche che parte del genoma dell’HPV era integrato nel DNA umano nelle cellule cervicali che hanno poi dato origine al cancro, suggerendo nuovi metodi per trattare la malattia.

Nel 2005-2006, si è finalmente riusciti a sviluppare un vaccino HPV per prevenire il cancro cervicale. Oltre a questo, recentemente sono state sviluppate anche terapie per prevenire l’epatite B, che può causare il cancro al fegato. Questi vaccini sono stati i primi trattamenti preventivi anticancro.

Vaccini terapeutici contro il cancro

Oltre ai vaccini preventivi, grandi speranze sono riposte nei nuovi vaccini terapeutici, destinati a curare il cancro stimolando il sistema immunitario in modo che riconosca le cellule cancerogene. Come avviene questa stimolazione? Una strategia consiste nel prelevare dal paziente alcune cellule tumorali (tramite biopsia), ingegnerizzarle in laboratorio in modo da renderle visibili alle cellule T e somministrarle nuovamente al paziente.

Nel 1990, il Bacillus Calmette-Guérin, un vaccino per la tubercolosi, è diventato la prima immunoterapia ad essere approvata dalla FDA per il trattamento del carcinoma della vescica in fase iniziale. Oggi, diversi decenni dopo, i vaccini terapeutici contro il cancro hanno iniziato a mostrare efficacia e potenziale per aiutare i pazienti resistenti ad altre immunoterapie.

Un vaccino universale

Un vaccino basato sulle cellule tumorali del paziente stesso è una terapia personalizzata, che ha il vantaggio di essere specifica per il paziente, ma anche lo svantaggio di dover essere preparata ad personam, rendendola svantaggiosa quando si cerca di curare migliaia di pazienti. Attualmente l’azienda biotech Ultimovacs sta compiendo ingenti sforzi per sviluppare un candidato vaccino universale (UV1). L’antigene (il bersaglio del vaccino) è l’enzima telomerasi (hTERT), un bersaglio molto importante perché l’80-90% di tutti i tipi di cancro esprime questo antigene, mentre non è presente nelle cellule sane. Di conseguenza, questo vaccino potrebbe diventare rilevante per un numero molto elevato di pazienti. Sebbene la risposta delle cellule T sembri promettente in laboratorio, i risultati clinici per il momento non sono soddisfacenti, forse a causa dell’impossibilità delle cellule T di accedere al tumore. Una soluzione a questo problema potrebbe essere l’impiego di inibitori del checkpoint immunitario (che abbiamo visto prima) insieme al vaccino.

Come funziona questo vaccino? Nell’immagine sottostante (che ho recuperato ed adattato dal sito della Ultimovacs) viene spiegato cosa succede dopo la somministrazione. Innanzitutto, il vaccino consiste in 3 lunghi frammenti dell’enzima hTERT. Questi sono scelti in modo da provocare la reazione immunitaria più forte.

Il meccanismo d’azione del vaccino UV1 consiste nell’indurre una specifica risposta delle cellule T contro hTERT. Dopo l’iniezione intradermica (1), entrano in gioco alcune cellule che si chiamano cellule dendritiche, la cui funzione è quella di raccogliere tutte le molecole ritenute sospette (antigeni) trovate nell’organismo (2). Queste cellule presentano i peptidi hTERT (gli antigeni in questo specifico caso) alle cellule T, nei linfonodi (3). Queste cellule andranno poi in giro nell’organismo a caccia delle cellule che esprimono quell’antigene (quindi quelle tumorali), scatenando una risposta immunitaria (4). Le cellule tumorali uccise a loro volta rilasceranno altri antigeni, che amplificheranno la risposta con una seconda ondata da parte delle cellule T.

Siamo ancora anni lontani dal testare questo vaccino nei pazienti, ma la strada è tracciata e si spera che presto ci saranno sufficienti e soddisfacenti dati preclinici per autorizzare questo vaccino in trials clinici.

Fonti

http://www.ultimovacs.com

http://www.nordiclifescience.org/from-theory-to-therapy-cancer-vaccines/