Le infezioni batteriche sono ben documentate fin dai tempi dell’antico Egitto. L’era degli antibiotici iniziò qualche migliaio di anni più tardi, con la scoperta della penicillina da parte di Sir Alexander Fleming, nel 1928. Da allora, gli antibiotici hanno trasformato la medicina moderna e salvato milioni di vite. Uno studio statunitense del 1999 ha calcolato che gli antibiotici, tra il 1936 e il 1951, hanno determinato una diminuzione di 220 morti negli Stati Uniti ogni 100.000 persone. Tutte le altre tecnologie mediche combinate nei successivi 45 anni hanno ridotto i decessi solo di 20 ogni 100.000 persone. Gli antibiotici iniziarono ad essere prescritti regolarmente per il trattamento di infezioni gravi negli anni ’40: ad esempio, la penicillina ha permesso di curare le infezioni batteriche tra i soldati durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, già pochi anni dopo, la resistenza alla penicillina iniziò a diventare un problema, tanto che, negli anni ’50, molti dei progressi terapeutici raggiunti nel decennio precedente divennero a rischio. Si capì che era necessario scoprire e sviluppare nuovi antibiotici, che sostituissero la penicillina. Sfortunatamente, i batteri diventavano resistenti anche ai nuovi antibiotici, mettendo in chiaro che questa emergenza era tutt’altro che limitata. Dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli anni ’80, l’industria farmaceutica introdusse moltissimi nuovi antibiotici per contrastare il problema della resistenza, ma con il tempo è diventato sempre più difficile produrne di nuovi. Per questo, nell’ultimo decennio le infezioni batteriche sono tornate ad essere una minaccia da non sottovalutare.
Perché i batteri diventano resistenti
Alcuni batteri sono naturalmente resistenti a determinati tipi di antibiotici, mentre altri possono diventarlo in seguito a mutazioni genetiche o grazie ad una “trasmissione orizzontale” (quando una specie passa la resistenza ad un’altra tramite un vettore, come un plasmide o un trasposone).
Le mutazioni genetiche possono offrire resistenza in almeno 3 modi diversi. Ad esempio, possono consentire ai batteri di produrre enzimi in grado di inattivare gli antibiotici. Un noto esempio di inattivazione enzimatica è la β-lattamasi, prodotta dai batteri per inattivare le penicilline. L’acido clavulanico, un inibitore della β-lattamasi, viene somministrato in combinazione con le penicilline per superare questa resistenza. Altre mutazioni possono eliminare o alterare il bersaglio cellulare che l’antibiotico attacca. Un terzo meccanismo riguarda l’ingresso del farmaco nei batteri: alcune mutazioni possono ridurre la permeabilità agli antibiotici, altre favorirne l’efflusso all’esterno.
Gli antibiotici esercitano una pressione selettiva darwiniana sui batteri: quelli sensibili vengono uccisi o inibiti dall’antibiotico, mentre quelli resistenti sopravvivono e prosperano. Uno dei principali problemi di fondo è che molti degli antibiotici che utilizziamo oggi sono “ad ampio spettro”, ovvero uccidono indiscriminatamente sia i batteri patogeni che i batteri intestinali sani, che sono importanti per la salute. Per questo, al termine di un trattamento a base di antibiotici è fondamentale seguire una cura a base di fermenti lattici, per ripristinare la flora batterica intestinale.
I batteri possono raccogliere più tratti di resistenza e quindi sopravvivere a molte classi di antibiotici. Questi prendono il nome di “superbatteri“, e sono estremamente pericolosi in quanto difficili da eliminare.
L’abuso di antibiotici
Nonostante i loro benefici, ci stiamo finalmente rendendo conto che gli antibiotici non sono infallibili e fanno più male che bene, se usati in modo improprio.
Già diversi decenni fa, Fleming e il suo collega Almroth Wright avevano messo in guardia dall’abuso di antibiotici. A quel tempo, Fleming sottolineò che la penicillina dovrebbe essere utilizzata solo se indicato da una corretta diagnosi clinica e, quando utilizzata, la dose dovrebbe essere adeguata e il ciclo dovrebbe essere completato nella sua interezza.
Studi epidemiologici hanno dimostrato che la formazione di nuovi ceppi batterici resistenti è legata sia al consumo smodato di antibiotici che alle prescrizioni errate. A tal proposito, diversi studi hanno dimostrato che la scelta del trattamento, del tipo di antibiotico o della durata della terapia non sono corrette nel 30-50% dei casi, anche se questi dati variano notevolmente da nazione a nazione. Ad esempio, uno studio statunitense ha riportato che la corretta identificazione del batterio è avvenuta solo nel 7,6% dei casi su più di 17000 pazienti ricoverati in ospedale con polmonite. Invece, i ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia sono stati in grado di identificare correttamente il patogeno nell’89% dei pazienti con polmonite grazie ad un uso corretto di tecniche diagnostiche molecolari.
La decadenza degli antibiotici
Lo sviluppo di nuovi antibiotici da parte dell’industria farmaceutica, una strategia che in passato era stata efficace nel combattere i batteri resistenti, si è sostanzialmente bloccato a causa di ostacoli economici e normativi. Delle 18 maggiori aziende farmaceutiche, 15 hanno abbandonato il campo degli antibiotici. Le fusioni tra aziende farmaceutiche hanno anche ridotto il numero e la diversità dei team di ricerca. Inoltre la ricerca sugli antibiotici condotta nel mondo accademico è stata ridimensionata a causa dei tagli ai finanziamenti. Lo sviluppo di antibiotici non è più considerato un investimento economicamente vantaggioso per l’industria farmaceutica, poiché vengono utilizzati per periodi relativamente brevi e non sono redditizi quanto i farmaci che trattano condizioni croniche, come il diabete, i disturbi psichiatrici, l’asma o il reflusso gastroesofageo. Un’analisi costi-benefici dell’Office of Health Economics di Londra ha calcolato che il valore attuale netto di un nuovo antibiotico è solo di circa 50 milioni di dollari, rispetto al miliardo garantito dai farmaci usati per curare malattie neuromuscolari.
La resistenza agli antibiotici è un’emergenza sanitaria globale
Solo di recente il mondo ha preso atto dei pericoli imminenti legati alla resistenza agli antibiotici.
Gli esperti del settore hanno dichiarato che la fine dell’era degli antibiotici è imminente e che questo potrebbe minare le fondamenta di gran parte della medicina moderna e della salute pubblica. Sebbene la resistenza agli antibiotici esista da quando questi farmaci sono stati introdotti in ambito terapeutico, negli ultimi anni il problema è peggiorato considerevolmente.
Negli Stati Uniti, si stima che ci siano almeno 2 milioni di casi all’anno di resistenza agli antibiotici, la quale è responsabile di almeno 23.000 decessi. Queste infezioni si verificano in quasi tutti i contesti medici, dalle infezioni dell’orecchio, a quelle del tratto urinario, polmoniti, infezioni delle ferite e della pelle. Circa 25.000 pazienti all’anno muoiono nell’Unione Europea a causa di infezioni causate da batteri resistenti a più di un antibiotico e, secondo le tendenze attuali, si prevede che entro il 2050 questo numero crescerà fino a 390.000 vittime all’anno.
Se non si dovesse intervenire tempestivamente per arginare il problema, l’impatto macroeconomico e sociale sul mondo sarebbe drammatico. Entro il 2050, a livello globale si verificherebbero 10 milioni di morti in più ogni anno a causa della resistenza agli antibiotici e il livello del PIL mondiale scenderebbe di 100 trilioni di dollari.
Cosa si può fare?
È necessario lavorare per trovare nuovi trattamenti contro le infezioni batteriche, sia individuando nuovi antibiotici che trovando cure alternative.
Per quanto riguarda la prima opzione, sebbene lo sviluppo di antibiotici sia stagnante da decenni, non è del tutto immobile. All’inizio del 2015, i ricercatori della Northeastern University del Massachusetts hanno annunciato di aver scoperto un nuovo tipo di antibiotico, chiamato teixobactina. Questa sostanza è prodotta da un batterio identificato di recente, Eleftheria terrae, ed è efficace contro una serie di infezioni batteriche che sono resistenti ad altri farmaci. Questa scoperta è avvenuta grazie ad un’ingegnosa trovata dei ricercatori Slava Epstein e Kim Lewis, i quali hanno utilizzato un iChip. Si tratta di un dispositivo delle dimensioni di un chip USB progettato per superare un problema che affligge i biologi da sempre: il fatto che solamente l’1% dei batteri sia in grado di sopravvivere nelle piastre petri in laboratorio. I ricercatori hanno costruito questo dispositivo composto da due membrane semipermeabili tra le quali vengono inseriti i batteri, che vengono ingannati e continuano a proliferare. Finora la coppia di scienziati ha identificato circa 80.000 ceppi batterici precedentemente non coltivabili e ha isolato diversi nuovi promettenti antibiotici. Di questi, la teixobactina è interessante per un semplice motivo: ad oggi nessun batterio è stato in grado di sviluppare resistenza ad essa.
Come seconda opzione, si potrebbero cercare alternative agli antibiotici. Tramite lo studio ALTAR (alternative agli antibiotici profilattici per il trattamento delle infezioni del tratto urinario ricorrenti nelle donne) dell’Università di Newcastle nei prossimi mesi verrà confrontato un farmaco antisettico urinario con l’attuale antibiotico standard. La speranza è che questo nuovo farmaco sia altrettanto efficace, con meno effetti collaterali e senza la possibilità di sviluppare resistenza. Si spera poi che in futuro altri farmaci simili possano essere generati.
Allo stesso tempo sarà però necessario ridurre l’abuso di antibiotici e migliorarne la prescrizione: il tempo rimasto a disposizione non è molto.
Fonti
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4378521/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4486712/
https://www.theguardian.com/global/2019/mar/24/the-drugs-dont-work-what-happens-after-antibiotics