Nel 1984, l’UNESCO ha definito l’analfabetismo funzionale come “la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità“. Gli analfabeti funzionali sanno leggere e scrivere (quindi non sono analfabeti), ma non hanno spirito critico e tendono a credere ciecamente alle informazioni ricevute, faticano ad eseguire semplici calcoli matematici (sconti, economia domestica) e hanno una limitata conoscenza di fenomeni storici, sociali, politici ed economici, oltre a non essere in grado di comprendere il significato di un breve testo. In breve, gli analfabeti funzionali mancano delle competenze basilari richieste dalla vita quotidiana. Le cause sono complesse, legate a situazioni di subordinazione fisica, psicologica e sociale: i maggiori tassi di analfabetismo funzionale sono infatti registrati tra persone meno abbienti, che hanno subito forti stress emotivi, rischi per la salute e intimidazioni sociali. Questa piaga provoca pesanti conseguenze a livello economico (le perdite economiche causate da bassa produttività, errori e incidenti riconducibili all’analfabetismo funzionale ammontano a miliardi di dollari all’anno) e sociale (ad esempio con la diffusione di notizie false su temi medico-sanitari, oppure di pregiudizi verso determinate categorie di persone).

Tutti sappiamo che l’Italia ha uno dei tassi di analfabetismo funzionale più alti tra i Paesi occidentali (28% secondo le ultime stime). Come contrastare questo problema? Essenzialmente in due modi: 1) aumentando il numero di libri in casa (e leggerli, ovviamente) e 2) con una modernizzazione e adattamento del sistema scolastico. Un’indagine sui dati Ocse-Piaac del 2016 ha rivelato che, alla domanda “Quanti libri c’erano a casa tua quando avevi 16 anni?”, la maggior parte degli analfabeti funzionali ha risposto meno di 25 e quasi nessuno più di 100. Tuttavia, non si può costringere la gente a comprare e leggere libri. Allora, ecco che la speranza va riposta nella formazione dei giovani.

Il classico stereotipo dell’analfabeta funzionale è un individuo over 55, poco istruito e con un lavoro non qualificato. In realtà, la piaga è diffusa anche tra i giovani: sono infatti molti gli under 25 che non studiano e non lavorano, oppure in condizioni di lavoro nero o precariato (tutte situazioni predisponenti all’analfabetismo funzionale). E qui la scuola può fare la differenza. Come è ben noto, lo stato italiano spende poco per l’istruzione (il 3,5% del PIL nel 2020 è il valore più basso da quando esiste la scuola pubblica, mentre la media europea è del 4,7%), ma la storiella che mancano i soldi non regge: è infatti ampiamente dimostrato che un maggiore investimento nell’istruzione garantisce un ritorno economico ben più elevato delle spese. Bisogna inoltre trovare un modo per contrastare l’abbandono scolastico precoce e la disaffezione alla cultura da parte degli studenti: sebbene in Italia la dispersione scolastica sia in costante calo, è ancora più alta della media europea (nel 2016 il 13,8% contro la media UE del 10,7%). Questo non può essere raggiunto solamente aumentando i finanziamenti, ma è necessario ripensare da capo un sistema scolastico obsoleto e immobile, che boccheggia in una società in continua evoluzione. Il problema maggiore è rappresentato dalle scuole medie e dai primi due anni delle superiori: è questo il periodo nel quale la maggior parte degli studenti viene persa per strada, compromettendo il loro percorso formativo. Come evitare che ciò accada? Come suscitare il loro interesse per l’istruzione? Nelle prossime righe vi presenterò come la Finlandia ha deciso di aggiornare il proprio sistema formativo, che penso possa rappresentare una valida medicina al problema italiano. Il Paese nordico è sempre stato all’avanguardia in ambito educativo e ha uno dei tassi di analfabetismo funzionale più bassi tra i Paesi analizzati (l’11%).

La Finlandia ha deciso di adottare una vera e propria rivoluzione in ambito educativo, abbandonando l’insegnamento improntato sulle materie, per adottare quello basato sui fenomeni. In pratica, gli studenti non studieranno più matematica, geografia, storia, letteratura, eccetera. Nell’insegnamento basato sui fenomeni, i fenomeni olistici del mondo reale forniranno il punto di partenza per l’apprendimento. I fenomeni saranno studiati come entità complete, nel loro contesto reale, e le informazioni ad essi correlate supereranno i confini tra le materie classiche. Per esempio, qualora l’argomento di partenza fosse l’Unione Europea, si studierebbero economia, lingue, storia dei Paesi membri e geografia. Invece, nel caso si preferisca un corso vocazionale più pragmatico, verrebbero approfondite matematica, lingue, abilità comunicative e di scrittura. L’insegnamento avverrà sia online che frontalmente, sfruttando al massimo le tecnologie a disposizione. Questa strategia permetterà direttamente ai ragazzi di scegliere gli argomenti di studio, suscitando il loro interesse. Nel processo di apprendimento, verranno fornite tutte le informazioni necessarie alla comprensione del fenomeno o alla risoluzione di un problema, e questo significa che tali insegnamenti avranno un’utilità immediata. Invece, le informazioni apprese esclusivamente a livello teorico con il metodo classico (come formule di fisica imparate mnemonicamente o regole di calcolo al di fuori di un contesto reale) spesso rimangono superficiali e senza significato per gli studenti, che non ne acquisiscono una comprensione globale. L’obiettivo dell’apprendimento basato sui fenomeni è quello di presentare processi di vita lavorativa autentica in un contesto di apprendimento, che consenta agli studenti di avvicinarsi maggiormente ad un ambito che suscita il loro interesse. L’ambiente didattico dovrà essere aperto e dinamico, al fine di promuovere la collaborazione e l’utilizzo di tutti gli strumenti necessari (tradizionali o multimediali che siano), pertanto non sarà limitato ai banchi di scuola, ma coinvolgerà il mondo reale, sia fisico che online.

Gli insegnanti dovranno adattarsi a questa innovazione, dal momento che dovranno instaurare costanti collaborazioni con i colleghi di discipline diverse. Inoltre, dovranno stimolare gli studenti a sviluppare la capacità di identificare e poi risolvere problemi e a collaborare tra di loro, avvicinandoli così al mondo reale più di quanto facciano le classiche lezioni frontali. Attualmente il 70% degli insegnanti finlandesi si stanno aggiornando in preparazione a questo nuovo sistema. Dal punto di vista dell’insegnamento, questo stile è gratificante e utile anche per gli insegnanti: molti di quelli che lo hanno già implementato nel loro lavoro, affermano di non poter (né voler) tornare al vecchio sistema.

Il vantaggio dell’apprendimento per fenomeni è quello di mantenere intatto il mondo reale, invece di decontestualizzarlo, come avviene con l’insegnamento classico. Inoltre pone gli studenti al centro del progetto, invece di considerarli scatole da riempire con un programma didattico che non suscita il loro interesse e che verrà dimenticato (se mai imparato) nel giro di poco tempo. Infine, il metodo di apprendimento basato sui fenomeni aggiunge elementi educativi che mancano completamente nel metodo classico e che possono contribuire alla prevenzione dell’analfabetismo funzionale: la capacità di collaborare (networking), la leadership, lo sviluppo del pensiero critico, il riconoscimento e la risoluzione di problemi e maggiori dinamismo e capacità di adattamento.

Fonti

http://isfoloa.isfol.it/bitstream/handle/123456789/1262/Oss_1-2_2016_DiFrancesco_Amendola_Mineo.pdf?sequence=1

http://nebula.wsimg.com/57b76261c219f5e7083e9978cd2cd66d?AccessKeyId=3209BE92A5393B603C75&disposition=0&alloworigin=1